Ostaggi di Hamas: abusi, fame e umiliazioni durante la prigionia

  • Postato il 13 agosto 2025
  • Di Panorama
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Un documento diffuso martedì dal Ministero della Salute al Comitato Internazionale della Croce Rossa e ad altre organizzazioni sanitarie internazionali descrive in dettaglio le sofferenze subite da dodici ostaggi, rapiti dai miliziani di Hamas il 7 ottobre 2023 e liberati durante una tregua all’inizio di quest’anno. La Croce Rossa non ha potuto fornire alcun aiuto durante la loro detenzione. Basandosi su testimonianze dirette e cartelle cliniche, il rapporto illustra pratiche sistematiche di degrado fisico e psicologico, incluse molestie sessuali ricorrenti e condizioni di vita disumane. Secondo il Ministero, questi abusi configurano tortura e gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, chiedendo l’immediata fornitura di cibo, acqua e cure mediche agli ostaggi ancora prigionieri.

La pubblicazione arriva pochi giorni dopo la diffusione, da parte di gruppi terroristici, di filmati che mostrano due ostaggi in evidente stato di deperimento, e mentre Israele tenta di mantenere alta l’attenzione globale sulla loro sorte: cinquanta persone restano infatti nelle mani dei miliziani a Gaza. Il rapporto è stato reso noto anche mentre i familiari degli ostaggi criticavano un nuovo piano militare per conquistare Gaza City, sostenendo che metterebbe in grave pericolo almeno venti ostaggi, ritenuti ancora vivi. Dalle testimonianze raccolte emerge che i prigionieri sopravvissuti si trovano in una condizione di «pericolo immediato». Il documento aggiunge: «Ogni giorno che passa aumenta la possibilità di danni irreversibili alla loro salute fisica e mentale».Riguardo agli ex ostaggi, si sottolinea: «Esiste un legame diretto tra la durata della prigionia, le condizioni estreme in cui sono stati detenuti, i maltrattamenti subiti e la loro capacità di affrontare i percorsi di riabilitazione e reintegrazione nella vita familiare e sociale».

Un quadro di estrema sofferenza

Il rapporto analizza i casi di quattro donne e otto uomini, tra le 251 persone rapite durante l’attacco del 7 ottobre, quando migliaia di miliziani penetrarono in Israele uccidendo circa 1.200 civili. Gli ostaggi citati sono stati tutti rilasciati nel corso di un cessate il fuoco durato due mesi, tra gennaio e marzo 2025. I dodici liberati sono stati ricoverati negli ospedali israeliani Shamir, Sheba, Rabin e Soroka, dove hanno riabbracciato le famiglie e ricevuto le prime cure. Il documento si fonda sulle loro testimonianze, sulle cartelle cliniche e su colloqui diretti con il personale sanitario, realizzati con il consenso dei sopravvissuti, in linea con altre deposizioni simili. Il quadro che emerge è drammatico: i prigionieri venivano tenuti in spazi sotterranei angusti, spesso in tunnel di due metri quadrati e meno di un metro e mezzo di altezza, stipati fino a sei persone per lunghi periodi. Gli spostamenti avvenivano all’improvviso, sotto minaccia di morte, a volte con marce notturne bendati. Secondo il Ministero, tali trasferimenti erano fisicamente pericolosi e psicologicamente devastanti.Molti sono stati immobilizzati per ore, senza poter soddisfare i bisogni fisiologici. Dormivano su pavimenti duri, infestati da insetti, ed erano esposti a caldo estremo o freddo intenso.

Fame, sete e condizioni igieniche precarie

Spesso ricevevano un solo pasto al giorno – pane pita o riso – e talvolta nulla. Il cibo era frequentemente avariato e infestato, accompagnato da acqua contaminata, talvolta proveniente da scarichi non trattati o dal mare. Le docce erano rarissime, una ogni alcuni mesi, con acqua fredda e asciugamano condiviso; i cambi d’abito scarsi, con prigionieri costretti a indossare la stessa biancheria per sei mesi. I bagni erano fosse rudimentali, scavate dagli stessi detenuti; in certi casi erano costretti a espletare i bisogni in pubblico. Questo ambiente ostile ha causato malattie croniche non curate, tra cui infezioni intestinali, vomito, diarrea, febbre e problemi respiratori dovuti alla polvere. Molti hanno sofferto infestazioni di pidocchi, scabbia e pulci, oltre a dermatiti persistenti. «Poiché queste malattie non venivano curate, causavano gravi allucinazioni e dolore intenso» si legge nel documento. Diversi hanno riportato disidratazione grave, confusione mentale e perdita di conoscenza. Le lesioni fisiche erano numerose: ferite da proiettile e da schegge, ustioni, fratture non curate. Molti hanno riportato danni permanenti ai nervi, con dolori cronici, perdita di sensibilità e difficoltà nei movimenti, al punto che anche una doccia può risultare dolorosa. La perdita di peso variava dal 15 al 40% della massa corporea, con atrofia muscolare e perdita di densità ossea, aumentando il rischio di fratture. Le analisi hanno mostrato gravi carenze vitaminiche – in particolare vitamina C, con sintomi di scorbuto, e livelli bassi di vitamine K e D. Il documento rileva che le cure mediche erano quasi inesistenti: in un caso, un ostaggio tentò da solo di sistemarsi un osso lesionato, perdendo i sensi; in un altro, un antibiotico errato peggiorò un’infezione, mettendo a rischio la vita.

Traumi psicologici e abusi sessuali

Molti prigionieri sono stati isolati per periodi prolungati: uno per oltre cinquanta giorni, altri per più di un anno. Questa condizione ha causato depressione, deprivazione sensoriale e dissociazione. Alcuni carcerieri li minacciavano contando alla rovescia con in mano una granata.Sono stati riportati casi di molestie sessuali: una donna ha riferito abusi prolungati per mesi; uomini e donne hanno subito commenti umilianti a sfondo fisico. I sequestratori praticavano anche torture psicologiche, come mostrare acqua pulita o cibo per poi negarli. Il rapporto parla di «una strategia sistematica di terrore e trauma duraturo».Molti sopravvissuti hanno oggi danni nervosi irreversibili, richiedendo interventi chirurgici complessi, e soffrono dolori cronici. I medici segnalano anche disturbi endocrini e possibili conseguenze sulla fertilità femminile. A sei mesi dalla liberazione, il Ministero avverte che la salute mentale degli ex ostaggi rimane fragile, con rischio di PTSD a comparsa tardiva: «Finché altri ostaggi rimarranno prigionieri a Gaza, il processo di riabilitazione e reinserimento di chi è tornato sarà inevitabilmente compromesso». Ma perché la sofferenza degli ostaggi non scuote le coscienze come dovrebbe? Secondo Elisa Garfagna che studia la narrazione dei terroristi «Il motivo è la propaganda di Hamas, che ha monopolizzato la narrazione mediatica sulle vittime civili palestinesi, creando una sorta di empatia a senso unico. A fronte delle presunte e mai accertate migliaia di vittime a Gaza, il numero esiguo di ostaggi non genera una reazione simile. Il peso dei numeri è un lasciapassare. La  tragedia degli ostaggi, seppur straziante, viene messa in ombra, quasi come se il loro dolore fosse meno importante. In questa guerra dell’informazione, le storie individuali sono schiacciate dal peso dei numeri pompati a dismisura e la loro sorte non genera il rumore che dovrebbe».

Autore
Panorama

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