Ora Wsj e Ft celebrano la strategia di Trump. “Sta vincendo la guerra commerciale”, “A scappare sono gli altri”
- Postato il 16 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Difficile dire come andrà a finire il braccio di ferro tra gli Stati Uniti e l’Europa o quello con la Cina, con Pechino che dispone di leve negoziali ben più efficaci (ha cose di cui gli Usa non possono fare e meno, a differenza dell’Ue). Tuttavia è indubbio che l’atteggiamento della stampa internazionale nei confronti delle politiche commerciali di Donald Trump, negli ultimi giorni, ha mostrato un cambiamento piuttosto netto. Si inizia a dare qualche credito alle strategie della Casa Bianca e ad esprimere qualche dubbio sulle conseguenze negative per gli Usa, sinora date per scontate.
Sarà forse stato il dato del dipartimento del Tesoro relativo alla riscossione delle tariffe doganali Usa a giugno, con incassi che per la prima volta hanno permesso di generare un sorprendente surplus di bilancio di 27 miliardi. I dazi doganali sono così diventati la quarta maggiore fonte di entrate per il governo federale. Sta di fatto che, per ora, dazi e minacce di dazi stanno pagando. Per le ricadute negative che quasi tutti gli economisti prevedono, si vedrà.
Qualche giorno fa sul Wall Street Journal, quotidiano statunitense non pregiudizialmente ostile a Trump ma tradizionalmente fedele ai dogmi del libero mercato e del libero commercio, è apparso un articolo in cui si dava conto di come tra gli economisti si stessero ridimensionando i timori di recessione e prevedessero una più solida crescita dell’occupazione. “Le previsioni rivedono al rialzo la crescita e riducono le stime sull’ inflazione. Le tariffe si stanno dimostrando più basse e meno costose del previsto”, si leggeva. Mercoledì l'”endorsment” è ancora più netto: “Forget Taco. Trump is winning the trade war”, dimenticatevi le retromarce, Trump sta vincendo la guerra commerciale. Un commento a firma di Greg Ip, il responsabile degli opinionisti economici del quotidiano.
Non molto diverse le considerazioni del più importante giornale economico al mondo, il britannico Financial Times, che, in apertura del suo sito scrive: “Trump incassa 50 miliardi di dollari di dazi mentre il mondo si tira indietro. Solo Cina e Canada hanno reagito alla guerra tariffaria scatenata dal presidente degli Stati Uniti”. Il quotidiano ricorda come, secondo i dati del Tesoro degli Stati Uniti, le entrate statunitensi derivanti dai dazi doganali hanno raggiunto il livello record di 64 miliardi di dollari nel secondo trimestre, ovvero 47 miliardi di dollari in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Soprattutto si fa notare come gli analisti stiano osservando un comportamento dei grandi marchi per cui il costo dei dazi statunitensi viene spalmato sui prodotti venduti in tutto il mondo e non solo su quelli destinati agli Usa che quindi registrano rincari limitati. E così faranno in futuro. Detto in altri termini: i dazi americani gli stiamo pagando e li pagheremo noi e non loro. Non solo, si moltiplicano i gruppi che rafforzano o spostano la produzione negli Usa per aggirare le tariffe, portando occupazione nel paese.
Il succo di questi ragionamenti è piuttosto semplici, se si entra in quella nuova dimensione delle relazioni internazionali ribattezzata “geonomics”. In sostanza un mondo in cui le grandi potenze accantonano la convinzione che il libero commercio (o almeno una sua parvenza) convenga a tutti ed usano tutta la loro forza, non solo economica ma anche politica e militare, per imporre le proprie convinzioni. Nei confronti dell’Europa, gli Stati Uniti hanno gioco facile. Al di là dell’aspetto economico, la protezione militare fornita al Vecchio Continente, è un’efficace arma di ricatto, soprattutto mentre c’è una guerra in corso. Poi certo, possiamo sempre colpire duro smettendo di bere Bourbon, guidare Harley Davidson e vestire jeans Levi’s…. La grande scommessa di Trump è questa, usare il peso specifico degli Usa per piegare gli altri alle proprie volontà, senza pagare dazio (letteralmente e non). Prima che la Cina sia troppo forte per farlo a sua volta.
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