Omicidio Nada Cella, in un frame mostrato in aula le tracce lasciate dall’arma del delitto

  • Postato il 3 luglio 2025
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Genova. Un ingrandimento di una foto della polizia scientifica scattata sul muro insanguinato accanto alla scrivania di Nada Cella aggiunge, secondo l’accusa e secondo l’avvocata di parte civile Sabrina Franzone, un altro pezzetto di verità sull’arma impropria usata per uccidere Nada Cella. Una pinzatrice verde, di quelle che all’epoca e proprio di quel colore si trovavano normalmente in tutti gli uffici.

Un ingrandimento che mostra uno stampo sul muro e un segno di vernice di poco più di un centimetro che nessuno prima si era mai preso la briga di fare, visto che l’arma non è mai stata trovata.

L’ingrandimento è stato mostrato in aula questa mattina durante l’esame del consulente di parte civile, l’ex dirigente di Polizia Silvio Bozzi, esperto di tecniche scientifiche: “Si tratta di una fotografia che ha destato la mia attenzione – ha spiegato Bozzi in aula – perché sul muro insanguinato si trova un’unica piccola area senza schizzi di sangue e un segno marcato di asportazione dell’intonaco con frammenti finiti sul pavimento, asportazione determinata da un oggetto dotato di spigoli”. E l’ingrandimento di quell’immagine della parte bassa del muro rivela di più: una traccia evidente di vernice verde nella zona in cui Nada fu probabilmente colpita mentre era a terra. Gli ultimo colpi sferrati con rabbia. Bozzi ha parlato di una “coazione a ripetere” che in gergo tecnico individua un continuare a ripetere un’azione ormai in modo incontrollato con minor forza e meno precisione, tipico del delitto d’impeto.

Bozzi, così come il medico legale Marcello Canale sentito anche lui oggi come consulente, hanno detto – dopo che sono state loro mostrate le foto dell’autopsia – che le lesioni alla testa e al viso di Nada Cella sono “compatibili con gli spigoli di una pinzatrice”. Quell’arma, appunto non è mai stata trovata: ne fu trovata una nella borsa di un agente della scientifica, presa per sbaglio ma non insanguinata, ma è molto probabile che nello studio di un professionista che aveva una segretaria e una praticante ce ne fosse più d’una.

L’aggressione cominciata in ingresso con un fermacarte

Ancora, sia Canale sia Bozzi hanno asserito la compatibilità di alcune delle ferite di Nada, con l’altro probabile – sempre secondo la ricostruzione accusatoria – primo oggetto preso per caso e usato per colpire Nada quando ancora si trovava in ingresso: un fermacarte cilindrico del diametro di sei centimetri. Quell’oggetto fu trovato pulito nell’armadio di Soracco (che sostiene di non averlo mai utilizzato sulla scrivania), ma una foto precedente al delitto lo immortala in bella mostra proprio sulla scrivania del commercialista.

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Secondo l’accusa Nada fu colpita prima nella zona tra l’ingresso e l’adiacente studio di Soracco per poi rifugiarsi (“errore fatale” ha spiegato questa mattina Bozzi) nella sua stanza per chiedere aiuto, cosa che non potrà fare perché inseguita e colpita a morte, con in tutto 25 colpi.

La ricostruzione di pm e parte civile: fu Cecere a rispondere al telefono, subito prima di colpire Nada

Anche sulla prima fase dell’aggressione, incrociando le ipotesi scientifiche sulla forma delle lesioni e degli schizzi di sangue con la testimonianza di Giuseppina Vaio, la cliente di Marco Soracco che quella mattina chiamò diverse volte lo studio e si sentì rispondere sgarbatamente da una voce di donna che non era Nada, l’idea che si sono fatte accusa e parte civile è che fu proprio Cecere a rispondere al telefono. E questo subito prima di cominciare a colpire Nada. Secondo l’ipotesi accusatoria Cecere quella mattina aveva suonato alla porta perché voleva assolutamente parlare con Soracco.

Nada le aveva aperto e aveva cercato di mandarla via (Soracco non c’era e lei aveva avuto disposizione di non passarle nemmeno le telefonate di Cecere) ma lei si era imposta e si era piazzata nello studio di Soracco dicendo che lo avrebbe aspettato lì. Quando però Cecere si era messa a rispondere al telefono Nada si era arrabbiata: questo atteggiamento avrebbe fatto arrabbiare Soracco e avrebbe fatto fare una brutta figura a tutto lo studio. Per questo forse Nada ha cercato di afferrare Cecere per farla uscire dalla stanza e lei ha reagito colpendola con il primo oggetto a portata di mano, proprio il fermacarte. Quell’oggetto probabilmente ad un certo punto era finito per terra in corridoio e poi sarà raccolto e lavato – sempre secondo l’impostazione dell’accusa – da Marisa Bacchioni, la madre di Soracco che come pacificamente noto, aveva pulito le scale e l’ingresso dello studio dal sangue prima dell’arrivo della polizia.

Entrambi i consulenti rispondendo alle domande dell’avvocata Franzone hanno detto che i colpi possono essere stati inferti da una donna. “Una forza che può essere stata sferrata anche da una donna, soprattutto in certe condizioni di esaltazione e aggressività” ha sentenziato Canale. E Bozzi ha aggiunto che visto che Nada Cella fu colpita anche a mani libere, “se fosse stato un uomo probabilmente avrebbe avuto la meglio con più facilità”.

Autore
Genova24

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