Omicidio Gemona, i biglietti aerei per la Colombia e la prova che compagna e madre avevano premeditato l’assassinio
- Postato il 2 agosto 2025
- Cronaca Nera
- Di Il Fatto Quotidiano
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GEMONA DEL FRIULI (UDINE) – La calce l’avevano comperata circa una settimana prima, una prova inconfutabile di premeditazione secondo i carabinieri di Udine. L’idea di uccidere Alessandro Venier, 35 anni, disoccupato, una vita di disagio e forse anche di violenza, sarebbe venuta per prima alla sua compagna Marylin Castro Monsalvo, 30 anni, colombiana, che sei mesi fa ha dato alla luce una bambina, per cadere poi in una grave forma di depressione post partum. Avrebbe così coinvolto Lorena, 61 anni, la madre della vittima, con cui aveva un legame di profondo affetto, quasi filiale. Ad agire è stata anche l’infermiera irreprensibile, dipendente dell’ospedale, mettendo in atto un piano che è stato svelato nel momento in cui le due donne hanno telefonato alla stazione dei carabinieri dando l’allarme e confessando il delitto. Orrore e incredulità accompagnano la vicenda dell’uomo ucciso a Gemona, il corpo fatto a pezzi e chiuso per cinque giorni in un bidone, ricoperto di calce, perché non si sentisse la puzza della decomposizione. L’orrore per le modalità di un assassinio in famiglia e l’incredulità per il movente che appare sproporzionato, o comunque indefinito.
“LA LORO VITA ERA IN PERICOLO” – Dopo aver detto al pubblico ministero Claudia Danelon “ho fatto una cosa mostruosa, ho ucciso mio figlio”, Lorena Venier ha svelato che all’origine del terribile omicidio c’è stata la paura di perdere Marylin e la nipotina, che Alessandro avrebbe voluto portare con sé in Colombia. Attratto dal Sudamerica, dove aveva già risieduto, l’uomo progettava di avviare un’attività di ristorazione e costruirsi una casa in un terreno che aveva acquistato. Lorena temeva di restare sola. “Marylin era la figlia che non ho mai avuto” ha ribadito anche al giudice per le indagini preliminari Mariarosa Persico che ha convalidato il fermo. Ma c’è dell’altro. Lorena temeva che Maylin e la nipotina fossero in pericolo, nel momento in cui avessero lasciato l’Italia. Probabilmente nutriva dei dubbi sui comportamenti e sulla tenuta psicologica del figlio, di cui conosceva gli scatti d’ira. Siccome Alessandro aveva già acquistato i biglietti aerei e chiesto alla madre di accompagnarli il 27 luglio in aeroporto, le due donne hanno deciso che fosse arrivato il momento di agire.
MODALITA’ DA CHIARIRE – Sulle modalità dell’omicidio c’è ancora riserbo. Gli inquirenti attendono gli esiti dell’autopsia che non è ancora stata effettuata e, soprattutto, i risultati delle analisi tossicologiche. Il corpo sarebbe stato fatto a pezzi con un’accetta, per infilarlo in un bidone, prima di ricoprirlo con la calce. Ma come sono riuscite a vincere la resistenza di Alessandro? Gli hanno fatto ingerire qualche sostanza per intontirlo? Come lo hanno ucciso? A queste risposte possono dare una risposta solo gli accertamenti sul cadavere. In ogni caso gli investigatori attendono di poter confrontare le versioni delle due donne, per verificare se siano combacianti su tutti gli aspetti di questa storia noir, anche per poter attribuire a ciascuna la reale responsabilità personale.
AGGRAVANTI DA ERGASTOLO – Se sarà stabilita la capacità di intendere e di volere, ci troviamo di fronte a un reato da ergastolo. Innanzitutto c’è l’omicidio volontario, commesso in concorso da Lorena Venier e Marylin Castro Consalvo. L’aggravante più grave è quella premeditazione, aver agito in base a una volontà maturata in anticipo e messa in atto attuando una serie di passaggi, dall’acquisto della calce alla predisposizione dei mezzi per l’uccisione. Altrettanto grave il vincolo di parentela, visto che la vittima era figlio e compagno delle due donne. Un terzo elemento è quello di aver commesso il fatto mentre si trovava in casa la figlia della coppia, una bimba di appena sei mesi, che ora è stata affidata ai servizi sociali del Comune di Gemona del Friuli. Altre due contestazioni riguardano il vilipendio e l’occultamento del cadavere. Un’accusa particolare è stata formulata solo nei confronti della sola Marylin – aver istigato la suocera a commettere l’omicidio – ammesso che sia vera la versione fornita da Lorena, secondo cui l’idea sarebbe venuta alla compagna di Alessandro, terrorizzata dalla prospettiva di dover lasciare l’Italia e la casa di Lorena dove era stata accolta con grande affetto.
MARYLIN È CONFUSA, NON RICORDA – Subito dopo il fermo la colombiana ha risposo alle domande dei carabinieri, ma in cella è precipitata in uno stato di profonda prostrazione. Assente, quasi catatonica, è apparsa ai suoi difensori, gli avvocati Federica Tosel e Francesco De Carlo. Ha detto di non ricordare che cosa sia accaduto in quella casa, anche se ha vagamente ammesso: “C’era un corpo…”. Di fronte al gip si è avvalsa della facoltà di non rispondere, anche perché i suoi legali attendono altri risultati investigativi e il miglioramento delle sue condizioni, che hanno richiesto anche una visita psichiatrica. I difensori hanno chiesto l’applicazione di una detenzione attenuata, visto che la donna ha una bimba di meno di un anno di età. Lorena Venier è invece assistita dall’avvocato Giovanni De Nardo che ha formulato una richiesta di arresti domiciliari, anche con il braccialetto elettronico. Ha spiegato che, al di là della gravità del fatto, c’è stata un’ampia confessione, non esiste il pericolo di fuga e neppure di reiterazione del reato.
Il Gip del Tribunale di Udine, Mariarosa Persico, che ha convalidato l’arresto, ha deciso che Mailyn sarà affidata a una struttura protetta di Venezia e potrà dunque uscire già oggi dal carcere. e prendersi cura della bimba. Per Lorena Venier è stata invece disposta la misura cautelare della custodia in carcere.
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