Omicidio di Nada Cella, chiesto l’ergastolo per Anna Lucia Cecere e quattro anni per Marco Soracco

  • Postato il 30 ottobre 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il processo per l’omicidio di Nadia Cella si era aperto a 29 anni dalla morte lo scorso febbraio. Era il 6 maggio del 1996 quando la 24enne fu assassinata nello studio commercialista di via Marsala, a Chiavari, dove lavorava come segretaria. A ritrovarla in un lago di sangue fu il suo titolare Marco Soracco, inizialmente sospettato per l’omicidio della ragazza. Oggi la Procura di Genova ha chiesto la condanna all’ergastolo per Anna Lucia Cecere, l’ex insegnante accusata di avere ucciso Cella.

Quattro anni invece per Soracco, il commercialista per cui lavorava la vittima, accusato di favoreggiamento perché avrebbe saputo da subito chi era l’assassina ma non lo disse mai. Cecere “ha agito con lucida follia per commettere un delitto d’impeto” ha detto la pm Gabriella Dotto. Per l’accusa l’imputata ha una “indole instabile che si sposa perfettamente con il delitto. Quello è stato un delitto di impeto, che manifesta una esplosione di rabbia e si sovrappone con la personalità di chi non sa contenere la rabbia. Nada è il pretesto per dare sfogo alla sua follia”. Dal canto suo, il commercialista Soracco, “ha avuto paura di Cecere, ha constatato la pericolosità di quella persona. Ha avuto consapevolezza che accusare quella donna avrebbe comportato una accusa da parte sua. Per questo ha sempre mentito. È una vita che vengono ripetute menzogne ed è stato il principale responsabile dell’impunità di Cecere”.

L’accusa

La Cecere, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe assassinato la vittima perché accecata dalla gelosia nei confronti di Nada per Soracco di cui la donna pare si fosse invaghita. La Cecere all’epoca fu già indagata per pochi giorni perché due testimoni l’avevano vista uscire trafelata dal palazzo che fu scena dell’omicidio. I carabinieri intercettarono la donna mentre stava già cercando un avvocato, le perquisirono l’appartamento e a casa le trovarono dei bottoni molto particolari, con base metallica incastonata, una stella a cinque punte e la scritta “Great Seal of the State of Oklahoma”. Un bottone identico era stato trovato vicino al corpo di Nada Cella.

La storia del bottone

Nel novembre del 2024 la Corte d’Appello aveva ribaltato i proscioglimenti del gup e contro la cui decisione aveva fatto ricorso la procura. Hanno provenienza militare, ma si trovano anche in giacche vintage ai mercatini. Un bottone identico era stato trovato vicino al corpo di Nada Cella. Cosa succede a quel punto? Viene fatto un confronto, ma solo fotografico. Il bottone sul luogo dell’omicidio aveva un pezzo mancante, forse rotto durante la colluttazione, e la pista viene scartata. Tra Polizia e carabinieri c’è forte rivalità e il pm titolare delle indagini, Filippo Gebbia, sposa la tesi dei primi, definendo la nuova pista “fantasiosa“. Cecere, in modo singolare, resta indagata per appena quattro giorni e poi viene archiviata.

Le nuove indagini

A riportare su di lei l’attenzione, molti anni più tardi, è una studentessa di un master in criminologia, Antonella Delfino Pesce. Riprende in mano il fascicolo Cella, è incuriosita dal fatto che sul luogo del delitto fosse stato trovato un Dna femminile e nessuno l’avesse messo in connessione con l’unica indagata. Va a cercarla, scopre che è andata a vivere in Piemonte subito dopo il delitto, e dopo un primo confronto comincia a ricevere minacce (l’audio). Ma non è l’unico indizio che porta i pm a ritenere colpevole Cecere. La Procura raccoglie nella nuova indagine una ventina di nuovi testimoni.

Il delitto della 24enne è rimasto a lungo irrisolto anche per i tanti errori commessi nell’immediatezza dell’omicidio. Primo fra tutti: ritenendola ancora viva, i soccorritori portano il corpo della vittima già morta in ospedale, inquinando in modo irrimediabile la scena del delitto. A ripulire il pianerottolo dalle tracce di sangue ci pensa proprio la madre di Soracco che venne intercettata mentre parlava con il figlio della sospettata: “Ma guarda un po’ quella Annalucia lì che fastidio che ci ha dato, eh”. Il giudice per l’udienza preliminare aveva ritenuto questo quadro troppo fumoso per reggere il dibattimento, soprattutto dopo che la prova del Dna, tentata dopo 28 anni, aveva dato esiti non risolutivi.

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Il Fatto Quotidiano

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