Omicidio Belsito a Pizzo, chiesti 2 ergastoli e 1 condanna a 12 anni

  • Postato il 26 novembre 2024
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Omicidio Belsito a Pizzo, chiesti 2 ergastoli e 1 condanna a 12 anni

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Si avvia a conclusione il processo per l’omicidio di Domenico Belsito, avvenuto a Pizzo, con la Dda che chiede due ergastoli e una condanna a 12 anni. L’uomo rimase ferito il 18 marzo 2004 ma morì in ospedale l’1 aprile successivo.


VIBO VALENTIA – SI avvia a conclusione il processo, che si sta celebrando in Corte d’Assise, a Catanzaro, per l’omicidio di Domenico Belsito, avvenuto a Pizzo nel 2004: nell’udienza di oggi la pubblica accusa, nella persona del magistrato della Dda, Antonio De Bernardo, ha invocato tre condanne, con due ergastoli, per altrettanti imputati accusati del delitto. La sparatoria avvenne la sera del 18 marzo mentre l’uomo si trovava su via Nazionale a bordo della sua auto; il decesso sopraggiunse all’ospedale di Vibo l’1 aprile successivo.

LE RICHIESTE DEL PM DELLA DDA

Queste, dunque, le richieste invocate dal pm davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro presieduta da Massimo Forciniti: pena dell’ergastolo chiesta nei confronti di Domenico Bonavota – ritenuto al vertice dell’omonima cosca e indicato quale mandante del delitto – e di Salvatore Mantella, appartenente al gruppo facente capo al cugino Andrea Mantella, oggi collaboratore di giustizia.  Dodici gli anni invece chiesti nei confronti di un altro collaboratore di giustizia,  Onofrio Barbieri, ex killer del clan Bonavota di Sant’Onofrio che si è autoaccusato di aver partecipato alle fasi antecedenti e programmatiche del delitto procurando, in particolare, l’auto rubata adoperata per l’agguato, poi rinvenuta bruciata.

L’OMICIDIO BELSITO A PIZZO

Secondo le ricostruzioni investigative Salvatore Mantella avrebbe guidato l’auto con a bordo il killer ovvero Francesco Scrugli (anche lui fedelissimo di Andrea Mantella, ucciso nel marzo 2012 durante la faida tra i piscopisani e i Patania), mentre Domenico Bonavota sarebbe stato il mandante del delitto le cui motivazioni risalirebbero ad una relazione che la vittima avrebbe intrattenuto con una persona ritenuta vicina al clan Bonavota e pertanto da questo avversata.

Nelle settimane precedenti, a gettare nuova luce sul delitto e sui presunti mandanti ed esecutori materiali era stato un altro collaboratore di giustizia, Francesco Fortuna, sicario della cosca di Sant’Onofrio che ha partecipato alle fasi prodromiche dell’omicidio.

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