“Oggi non correrei più per la Israel, in squadra non si poteva discutere di Gaza. Il ciclismo prenda posizione”: la denuncia di De Marchi
- Postato il 31 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La possibilità di continuare a correre a ottimi livelli, un buon stipendio e la sua prima (e ultima) Maglia Rosa in carriera. Quella dell’Israel-Premier Tech è una divisa che ad Alessandro De Marchi, ciclista italiano che l’ha indossata tra il 2021 e il 2022, rievoca sempre bei ricordi. Ma oggi non la indosserebbe più. Questione di “sentimenti e di sofferenza per il genocidio palestinese in corso a Gaza“. A spiegarlo è stato lo stesso 39enne nel corso di un’intervista al periodico britannico The Observer, uscita circa una settimana fa ma passata sotto silenzio in Italia. “Avrei fatto molta fatica a indossare quella maglia ora. Non voglio criticare nessuno perché ognuno è libero di decidere per chi correre, ma in questo momento non firmerei un contratto con la Israel – ha spiegato De Marchi, che dal 2023 corre con la Jayco Alula – Non sarei in grado di gestire i sentimenti che provo, di essere coinvolto in una cosa del genere“.
“A volte è meglio seguire la propria morale”: le parole di De Marchi
De Marchi è uno che non si è mai fatto problemi a esternare ciò che pensa fuori dal mondo del ciclismo. Non se n’è fatti quando ha replicato al generale Vannacci dopo le dichiarazioni sui “rossi anormali”, lui che per via del colore dei suoi capelli è soprannominato il Rosso di Buja. In un mondo spesso poco incline a esporsi, il friuliano De Marchi si è sempre distinto nel gruppo anche per quel braccialetto giallo con su scritto “verità per Giulio Regeni“. E con la stessa schiettezza di sempre ha parlato del team israeliano: “Nel 2021 mi diedero la possibilità di continuare a correre ai massimi livelli, mi diedero un buon contratto e un buon stipendio, e io guardavo alla casa che dovevo costruire e alla mia famiglia – ha spiegato De Marchi -. Anche per altri colleghi è lo stesso. Ora mi rendo conto che nella vita ci sono momenti in cui, anche se può essere difficile, è meglio seguire la propria morale. Adesso farei le cose in modo diverso”.
Il team Israel-Premier Tech non è legato direttamente allo Stato (pur avendo ricevuto una piccola somma dal Ministero del Turismo israeliano. Ma è finanziato dal miliardario canadese-israeliano Sylvan Adams e dall’uomo d’affari americano Ron Baron. Lo stesso Adams era presente all’insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e a giugno lo ha anche incoraggiato ad attaccare l’Iran, pochi giorni prima che lo facesse: “È il vostro momento. Aiutate Israele a liberare il mondo da questo flagello”, aveva dichiarato.
“Il mondo del ciclismo deve dimostrare che si preoccupa di certi temi”
Nell’ultimo anno De Marchi ha approfondito particolarmente il dramma in corso a Gaza: “All’epoca capivo davvero poco di Israele. Le persone dietro la squadra avevano il desiderio di mostrare le bellezze del Paese – questa era una politica chiara del team – ma non c’erano mai sentimenti contro Gaza o i palestinesi, o riferimenti all’occupazione in Cisgiordania. Si percepiva che era una società complessa e divisa”. De Marchi poi ha raccontato: “Ma si vedeva anche che non c’era spazio per discutere di Gaza“.
In realtà il tema del conflitto in corso è un tabù per tutto il mondo del ciclismo. Non da parte dei tifosi: qualche protesta si è vista anche al Tour de France – un manifestante è stato arrestato dopo aver corso sul rettilineo finale dell’11a tappa indossando una maglietta con su scritto “Israele fuori dal Tour” – e al Giro d’Italia quasi in ogni tappa si vedevano sventolare bandiere della Palestina. Ma in generale il mondo del ciclismo non si è mai esposto sulla questione, come per esempio fu fatto con i russi, banditi dalle gare fino al 2023. De Marchi però vorrebbe che si facesse qualcosa in più da questo punto di vista: “Dobbiamo dimostrare che come mondo del ciclismo ci preoccupiamo dei diritti umani e delle violazioni del diritto internazionale”.
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