Oasis, la storica reunion di Edimburgo raccontata da chi c’è stato

  • Postato il 14 agosto 2025
  • Di Panorama
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Non è solo Noel Gallagher, ad avere le lacrime agli occhi: alla fine del concerto è tutta la “gente di Edimburgo” e del mondo, che si è ritrovata allo Scottish Gas Murrayfield Stadium della capitale scozzese per la grande reunion degli Oasis, a piangere di felicità. Come potrebbe essere diversamente, davanti a una serata “biblical”, per usare le parole del fratello un tempo spaccone, Liam, che dal palco scherza, gioca, suona le maracas e il tamburino, gesticola, insulta (il consiglio comunale di Edimburgo, che si era permesso di definire i suoi fans “molesti e rumorosi”) e soprattutto -meravigliosamente- canta. Bene, benissimo, come mai prima. Con quella postura tipica, le braccia dietro la schiena, uguale ai tempi degli inizi della band negli anni Novanta: la voce sempre graffiante come un coltello ma la consapevolezza dei suoi 52 anni di oggi, quella di chi ne ha viste tante e ora davanti a noi corona il sogno di tornare sul palco, sotto l’insegna “Oasis”.

Quando nell’agosto del 1994 è uscito il primo album della band di Manchester, “Definitely Maybe”, Stella non era ancora nata, e Lorenzo aveva un anno. Oggi sono qui, allo stadio della nazionale scozzese di rugby, arrivati dalla Toscana dopo essere riusciti ad accaparrarsi i biglietti nella “grande lotteria” della vendita online dell’agosto 2024: con 14 milioni di persone -da 158 Paesi- collegati su Ticketmaster sperando di superare la fila virtuale e riuscire a partecipare a una delle reunion più grandi e attese nella storia del rock mondiale. «Li ho conosciuti grazie a uno dei miei migliori amici -appassionato di indie-rock- che suonava la batteria: ai tempi, suonare e cantare gli Oasis aiutava a conquistare le ragazze!» spiega Lorenzo. «Appena ho saputo che sarebbero tornati a suonare insieme dopo 16 anni, non ci ho pensato due volte. Quando si sono aperte le vendite ero in macchina, in Francia. Mi sono fermato in un autogrill e mi sono collegato con tutti i device che avevo». «Io ero collegata da casa: l’amore per gli Oasis me lo ha trasmesso lui» continua Stella. «Avevo davanti una fila virtuale di 20.000 persone. Alla fine ce l’abbiamo fatta: siamo stati fortunati e ora siamo qui a vivere un sogno». E’ racchiusa in questa frase l’essenza di questa band, che sa parlare ai trentenni di oggi come a tutte le generazioni più vecchie e più giovani, usando solo la lingua del rock, e sugli spalti questa storia è rappresentata plasticamente: oltre alla GenZ ci sono i coetanei di Liam e Noel (rispettivamente classe 1972 e 1967), ma anche i loro genitori ultra settantenni -su Tik Tok è diventato virale un video di una volontaria over 70 che balla mentre tiene in mano il cartello che indica le toilette all’interno dello stadio-e i loro figli, ragazzini che sanno a memoria tutti i grandi classici. Altro che trap, altro che K-pop. Qui la storia è diversa: qui risuona il grande rock.

Dietro di noi, nella fila riservata ai vip l’attore scozzese Martin Compston (protagonista di Sweet sixteen di Ken Loach e della serie BBc “Line of Duty”) si scatena ballando sulle spalle di Bernie, gigante di quasi due metri appena conosciuto che ha fatto amicizia con tutti noi del settore “West”: offrendoci birra e scattando selfie con chiunque, in nome di questa specie di .amore universale che permea lo stadio nel nome degli Oasis. I due fratelli che dopo essersi odiati e insultati per 16 anni, e dopo il clamoroso abbandono di Noel nel 2009 (durante il festival di Rock on Seine, vicino a Parigi) al grido di “Non potevo lavorare con Liam neanche un giorno di più” oggi si abbracciano sul palco, ridono insieme, fanno una musica che ha fatto la storia. Tra il pubblico, anche se la birra scorre a fiumi, tutto procede senza alcun problema, e su 70.000 persone scatenate -in una delle serate londinesi del tour, a Wembley Stadium, le autorità avevano fatto il conto di quante birre erano state vendute, e il numero è stato un record storico con 250.000 pinte – alla fine si conteranno solo tre arrestati per intemperanze, e nessun incidente. E’ sugli spalti anche Irvine Welsh, l’autore di Trainspotting, e a fine serata scriverà così su Instagram: «Questo è il momento migliore per vedere gli Oasis. Ora. Li ho visti tante volte negli anni 90, ma non sono mai stati straordinari come lo sono ora. Grazie a Liam e Noel per quella dose di meraviglia che ti fa sentire vivo». E’ proprio così: è come se al talento innato, alla grandeur della scrittura di Noel e al carisma e al fascino di Liam adesso si fosse sommata la professionalità dei maestri, portata ai massimi termini. Non c’è più traccia dei ragazzi terribili che distruggevano le camere d’albergo e si facevano rimpatriare per ubriachezza e risse dal traghetto per Amsterdam, durante la loro prima tournée del 1994: l’Oasis Live 2025 è un progetto di enorme qualità, preparato in maniera maniacale in tutti i dettagli. La band è perfetta, le voci dei Gallagher sono corpose, senza sbavature. Non sbagliano una nota, non “calano” mai in due ore di concerto. La scaletta è composta da 23 canzoni, tutti grandi classici. Rimane e rimarrà uguale per tutte le date del tour: dall’esordio a Cardiff il 4 Luglio fino alla fine, prevista per il 23 novembre in Brasile, passando da Manchester, Londra, Dublino, Chicago, e molte altre città. Le date sono ovunque sold-out.

Lo spettacolo inizia con “Hello” (dall’album “What’s the Story (Morning Glory)”, 1995) Liam e Noel si abbracciano e quasi viene giù lo stadio. I due ex ragazzi di Manchester dall’infanzia povera e complicata -scoperti quasi per caso in un pub di Glasgow, quando Alan McGee, boss della Creation Records, li sente e resta folgorato: «Mi sembrava di vedere la più grande band inglese dai tempi dei Beatles»- non si fermano un attimo, e macinano successi. Seguono “Acquiesce” e “Morning Glory”, entrambe del 1995: con quest’ultima la terra trema, nel vero senso della parola. Arriva un messaggio da amici che si trovano al Castello di Edimburgo, che dista dallo stadio più di 3 chilometri: “La canzone si sente da qui!”. Si prosegue con “Little by Little”, (2000) e “D’You Know What I Mean” (1997). Con “Stand by Me” (2000) i nostri vicini di posto -mai visti prima- ci abbracciano e baciano con promesse di incontrarci ancora in tutti i prossimi concerti da qui all’eternità, sulla ballad di “Talk tonight” (1995) la gente inizia a piangere, ma poi è l’apoteosi quando arriva Whatever, del 1998: l’inno generazionale degli anni Novanta, di chi credeva, davvero, di esser libero di fare e diventare “qualsiasi cosa”. Non c’era ancora stato l’11 settembre, il crollo di Lehman Brothers era lontano e i Gallagher si facevano portatori non solo di una musica nuova -arrivata dopo il fenomeno punk, per molti incomprensibile e astruso- ma anche di un nuovo modo di essere e di sperare. L’emozione esplode, nello stadio sventolano le bandiere: gli italiani siamo tantissimi, ma ci sono argentini, spagnoli, svedesi, americani. Dal palco arrivano lezioni di rock, di britpop, di assoli di chitarra -insuperabile Paul “Bonehead” Arthurs- e davvero sembra quasi che i fratelli siano tornati per mostrare a chi non li ha mai visti assieme come si sta su un palco, come si fa musica, come si fa un concerto, come si suona e si canta dal vivo. Niente kiss-cam, niente corpi di ballo da 50 persone, ma soprattutto -vivaddio- niente politica, niente proclami, niente moralismo mainstream: Liam e Noel non ne hanno bisogno. Sui maxischermi. ad altissima qualità anch’essi, scorrono immagini di gente normale, di coppie, di Manchester, del cane che Liam ha adottato in Thailandia (Buttons, amatissima meticcia idolo dei social), colori, note, ed è già il tempo dei bis.

Siamo ormai tutti senza voce, il cielo di Edimburgo è pieno di nuvole, e quasi piove e il vento è gelido, ma nessuno se ne accorge. Perché Noel canta “Don’t Look Back in Anger” e noi tutti preghiamo e speriamo che sia davvero così, che i Gallagher non guardino mai più indietro con rabbia, e che regalino a tutti noi, giovani e vecchi, ancora tanti anni di concerti e capolavori, perchè queste emozioni non siano solo qui, solo una volta e mai più. Si chiude con “Wonderwall” e poi ecco la poesia di “Champagne Supernova”. Quante persone speciali cambiano? Quante vite vengono vissute in modo strano? Esplodono i fuochi d’artificio, il Murrayfield è una palla di fuoco. La festa è finita. What a story, morning glory.

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Panorama

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