Nucleare Iran, l’Aiea fino al 2018: “Teheran sta rispettando gli impegni”. Poi Trump fece saltare l’accordo
- Postato il 17 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ora, dice Donald Trump, “praticamente l’Iran è al tavolo dei negoziati” e “sarebbe pazzo a non firmare” un nuovo accordo sul nucleare. Ma un’intesa c’era già e stava funzionando. Lo ha certificato più volte nel corso degli anni l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Era il Joint Comprehensive Plan of Action, firmato nel 2015. Sottoponeva il programma nucleare iraniano a uno stringente programma di monitoraggio sull’arricchimento dell’uranio. Nel 2018 il presidente degli Stati Uniti lo ha fatto saltare, interrompendo nei fatti anche il dialogo che con quell’intesa la comunità internazionale aveva avviato con Teheran. Fino all’escalation innescata dalla risoluzione adottata il 12 giugno dall’Aiea, utilizzata dal governo Netanyahu per muovere guerra alla Repubblica islamica.
Le 4 pagine del documento licenziato dall’Aiea giovedì scorso danno conto dei risultati del monitoraggio degli impegni adottati da Teheran con la firma degli Accordi di Salvaguardia nell’ambito del Trattato di Non Proliferazione del 1970 e ruotano attorno a un concetto: la “presenza di particelle di uranio di origine antropica in due località non dichiarate”. Su queste da oltre un anno l’Agenzia chiede a Teheran “informazioni sull’attuale ubicazione di materiale nucleare e/o attrezzature contaminate” (punto E). La Repubblica islamica ha fornito spiegazioni che l’Agenzia non giudica soddisfacenti e, lamenta il board, “non ha dichiarato materiale nucleare e attività connesse al nucleare in tre località non dichiarate, in particolare Lavisan-Shian, Varamin e Turquzabad”. Per questo l’Agenzia non è “in grado di garantire che il programma nucleare iraniano sia esclusivamente pacifico” (punto I) ed è preoccupata “per il rapido accumulo di uranio altamente arricchito da parte dell’Iran, l’unico Stato senza armi nucleari che produce tale materiale”. Ma la risoluzione fornisce anche un’utile indicazione temporale. Al punto 3 delle conclusioni il testo parla delle “numerose inadempienze dell’Iran a rispettare i suoi obblighi dal 2019“. Perché proprio da quell’anno?
Per capirlo occorre fare un passo indietro nel tempo. Nel maggio 2018 Donald Trump aveva annunciato l’uscita degli Stati Uniti dal Jcpoa, accordo storico firmato dall’Iran con il cosiddetto “5+1” (i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito più la Germania) e l’Unione europea, con il quale Teheran accettava forti limitazioni al suo programma in cambio dell’allentamento delle sanzioni economiche che stavano asfissiando l’economia del paese. Il primo e più serio limite era la possibilità di arricchire l’uranio fino a un massimo del 3,67%, quando per assemblare un ordigno nucleare occorre arrivare intorno al 90%. L’intesa prevedeva, inoltre, tra le altre cose che il regime smantellasse i due terzi delle centrifughe necessarie per l’arricchimento. Il Jcpoa era stato firmato il 14 luglio 2015 ed era entrato in vigore il 16 gennaio 2016. Il presidente degli Stati Uniti, eletto un anno dopo, lo aveva messo nel mirino fin dall’inizio del mandato e l’8 maggio 2018 aveva ufficializzato il ritiro unilaterale degli Stati Uniti e il ripristino delle sanzioni Usa sospese due anni prima.
Eppure, secondo l’Aiea, l’accordo stava funzionando. Quello stesso 8 maggio il direttore generale Yukiya Amano aveva affermato che “ad oggi, l’Aiea può confermare che gli impegni in materia nucleare vengono attuati dall’Iran“. Dello stesso tenore le comunicazioni ufficiali diramate fin dall’entrata in vigore dell’intesa: “Il Jcpoa ha portato a una significativa riduzione delle attività nucleari dell’Iran”, affermava Amano il 14 novembre 2017, periodo in cui le attività di verifica dell’Aiea funzionavano a pieno regime: “I nostri ispettori visitano impianti nucleari e altri siti quando lo riteniamo necessario per implementare verifiche efficaci” e “trascorrono ora circa 3.000 giorni all’anno sul campo in Iran, il doppio rispetto al 2013”. Risultato: “Ad oggi, abbiamo avuto accesso a tutti i luoghi che dovevamo visitare” e “con l’attuazione dell’Accordo di salvaguardia globale dell’Iran (…) siamo certi di poter individuare tempestivamente qualsiasi dirottamento di materiale nucleare o uso improprio di impianti nucleari, nonché qualsiasi attività e materiale nucleare non incluso nella dichiarazione dell’Iran” che “è ora soggetto al regime di verifica nucleare più rigoroso al mondo“. “Ad oggi, posso affermare che l’Iran sta rispettando i suoi impegni in materia nucleare. È essenziale che l’Iran continui a farlo – spiegava Amano ancora il 5 marzo 2018 -. Se il Jcpoa dovesse fallire, rappresenterebbe una grave perdita per la verifica nucleare e per il multilateralismo”. Dopo due mesi esatti Trump, lo stesso presidente Usa che fin dal suo primo mandato il principio del multilateralismo lo aveva minato alle basi, ritirava gli Usa dal Jcpoa causandone il naufragio.
Teheran attese quasi un altro anno per capire se gli Stati europei avrebbero mantenuto fede all’accordo (Francia, Germania e Regno Unito ne fanno ancora parte, al punto da poter esercitare lo “snap back”, ovvero il ripristino delle sanzioni Onu sospese con il Jcpoa), che prevedeva tra le altre cose l’implementazione di Instex, sistema di pagamento che avrebbe consentito rapporti commerciali aggirando le misure Usa. Il 15 maggio 2019 il regime degli ayatollah annunciava la sospensione degli obblighi riguardanti le riserve in eccesso di uranio arricchito e acqua pesante, ma ancora il 9 marzo 2020 il nuovo direttore generale Rafael Grossi spiegava che “ad oggi, l’Agenzia non ha osservato alcuna modifica nell’attuazione da parte dell’Iran dei suoi impegni in materia nucleare (…) o nel livello di cooperazione dell’Iran in relazione alle attività di verifica e monitoraggio dell’Agenzia”. Poi il regime aveva cominciato gradualmente ad allentare la collaborazione, fino al report del 31 maggio scorso con cui l’Agenzia certificava che al 17 maggio Teheran disponeva di 408,6 kg di uranio arricchito al 60%, rispetto ai 274,8 kg rivelati nell’ispezione di febbraio, chiaro segnale che l’arricchimento era proseguito. E infine alla risoluzione del 12 giugno e l’avvio dei bombardamenti israeliani. Ora, sotto le bombe di Israele, Teheran minaccia di uscire dal Trattato di Non Proliferazione, che finora è stato in grado di garantire che il regime degli ayatollah non avesse la bomba atomica.
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