Norvegia-Italia, il primo passo verso il Mondiale in mezzo agli incubi
- Postato il 5 giugno 2025
- Di Panorama
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L’ultimo a smontare dall’aereo in partenza per Oslo è stato Moise Kean: infortunato e restituito alla Fiorentina prima delle meritate vacanze. In precedenza la moria aveva colpito soprattutto il reparto difensivo, tanto da costringere il ct Luciano Spalletti a richiamare a Coverciano niente meno che Daniele Rugani: un esiliato dalla Juventus di Motta ad Amsterdam, ultima convocazione in azzurro nel novembre 2018.
Dovrà essere lui a cercare di contenere l’esuberanza cinica di Erving Haaland, il centravanti della Norvegia e del Manchester City che popola di incubi la notte di tutti in Federcalcio e nello staff tecnico di Spalletti. La situazione è semplice: l’Italia che scende in campo a Oslo debuttando nel girone non può permettersi di perdere per nessuna ragione al mondo. Ha due risultati su tre a disposizione, ma il terzo spalancherebbe sotto i piedi dell’Italia pallonara un precipizio di fantasmi e cattivi pensieri difficile da gestire per un movimento costretto per errori suoi a saltare le ultime due edizioni del Mondiale. Un terzo flop sarebbe insostenibile per tutti.
Norvegia-Italia, la situazione in classifica mette pressione agli azzurri
Il quadro è semplice da descrivere. La Norvegia è l’avversaria da cui guardarsi nella corsa al primo posto che è l’unico che garantisce l’accesso diretto alla rassegna iridata. Le altre sono comparse che decidono, però, tutto quanto riguarda differenza reti a criteri vari di accesso al Mondiale in caso di arrivo a pari punti. Haaland e compagni hanno già rifilato 5 gol alla Moldavia e 4 a Israele nelle prime due trasferta, mentre gli azzurri inseguivano vanamente l’obiettivo della Final Four di Nations League fino alla caduta con rimorsi contro la Germania.
Tradotto: nemmeno una sconfitta renderebbe irreparabile la condizione italiana nel gruppo, dovendo poi ospitare la Norvegia a casa nostra un autunno. Però metterebbe l’Italia a 9 punti di distacco dalla capolista con un peso forse insostenibile per chi già nel 2018 e nel 2022 ha fallito la qualificazione con enormi danni di immagine e ricavi per tutto il movimento e che, soprattutto, è reduce anche dal flop nell’ultimo Europeo con Spalletti in panchina.
Azzurri stanchi, polemiche e lo choc della finale di Champions League
Il problema è che l’Italia arriva malissimo a questo impegno. La difesa è falcidiata dagli infortuni e la lunga vigilia è stata movimentata anche dalla diserzione di Acerbi che ha chiuso la porta in faccia al ct per vecchie ruggini. Sarebbe servito, eccome, contro Haaland che ha già marcato con successo in Champions League e che, invece, sarà affidato alle cure di un reparto come minimo improvvisato.
Poi ci sono le fatiche del finale di stagione che pesano per tutti, anche per i norvegesi, ma un po’ più per i giocatori dell’Inter reduci dalla scioccante débacle contro il Psg nella finale di Monaco di Baviera. Se Bastoni, Barella, Dimarco e Frattesi sono quelli dell’ultima fase della stagione per Spalletti si apre un problema enorme. Se hanno qualche stilla di energia nascosta in qualche piega del loro fisico e della loro testa, invece, è bene che la estraggano subito perché non c’è molto margine d’errore. Anzi.
Nella testa di tutti, nella settimana che ha portato al fischio d’inizio di Oslo, ci sono state le concenti delusioni vissute per mano della Svezia nel 2018 e della Macedonia del Nord nel 2022. Sulla carta esiste sempre la scappatoia dei playoff, ma è qualcosa da non prendere in considerazione per una serie di ragioni. La prima è che sono trappole scivolose nelle quali, dal punto di vista mentale, avremmo tutto da perdere. La seconda che il meccanismo infernale della Fifa è estremamente punitivo nei confronti dell’Europa: la Uefa porta al Mondiale 16 nazionali su 55, la stragrande maggioranza concentrate nella parte alta del ranking.
Ce ne sono 8 nella Top10 e 10 tra le prime venti. Eppure se ne qualifica una su tre a malapena mentre le sudamericane, per fare un esempio, godono di 6 posti più uno allo spareggio contro l’Oceania e partono in dieci. Uno squilibrio che cancella buona parte della meritocrazie a penalizza chi nel Vecchio Continente deve spremersi correndo sempre sul filo di un equilibrio precario. Nel caso dell’Italia, avendo ancora ben vive sulla carne le cicatrici dei fallimenti del passato.