“Non vedo l’ora di filmare le donne senza velo nelle strade di Teheran”, il regista Farhadi a Bologna omaggia De Sica e Rossellini
- Postato il 27 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Non vedo l’ora di filmare le donne senza velo nelle strade di Teheran, sperando che un giorno le regole cambieranno”. È l’unica dichiarazione “politica” pronunciata da Asghar Farhadi alla Masterclass con il pubblico tenutasi ieri sera a Bologna nell’ambito della 39ma edizione del festival Il Cinema Ritrovato. Sul palco del gremitissimo Cinema Modernissimo in Piazza Maggiore, il cineasta iraniano è stato salutato da una standing ovation, certamente motivata dall’eccellenza della sua arte ma anche dal sentimento di resistenza e resilienza espresso dalla sua personalità “pubblica” quando ha precisato, “continuo a vivere a Teheran, lì è casa mia, ogni volta che sono libero da impegni lavorativi torno a casa dalla mia famiglia, dalla mia gente”. Dunque nessun accenno alla guerra in corso e alla delicatissima situazione politica iraniana che occupa le prime pagine della stampa di tutto il mondo.
Notoriamente formatosi cinematograficamente grazie al Neorealismo italiano, specie al realismo poetico di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (“quando avevo 14/15 anni davano nei cinema iraniani i film dei vostri maestri e non ne perdevo uno”) Farhadi ha sottolineato quanto la lezione del Neorealismo abbia inciso sul suo sguardo maggiormente rispetto a quella degli autori del suo stesso Paese. “Perché i personaggi creati da Rossellini, De Sica e co. esprimono un realismo pieno di vita, spontaneo, assai diverso da quelli iraniani dai quali si percepisce un background teatrale, fittizio per così dire, e anche malinconico”.
Certamente il nostro Neorealismo non ha solo ispirato Farhadi, ma tutta la generazione a lui precedente, da Kiarostami (“che ho amato, conosciuto, rispettato”) a Panahi, qualcosa insomma che è passato più attraverso l’inconscio che non la scelta razionale. Se esiste una “formula” che sta alla base della scrittura e conseguente regia dei suoi film, il regista due volte premio Oscar ha indicato “la drammatizzazione unita al realismo. Ovvero qualcosa di non facile da tenere insieme ma – a mio avviso – di fondamentale da perseguire per attirare il pubblico in un racconto catartico che, comunque, non rinunci a essere fedele alla realtà”.
“Questo perché – ha continuato Farhadi – la cosa per me importante è creare attraverso la drammatizzazione uno spazio emotivo nella mente degli spettatori che permetta loro di iniziare a pensare al film una volta che escono dalla sala: paradossalmente è proprio quello il momento più importante della visione, quando il film è finito”. E il mirabile connubio fra drammatizzazione e realismo si ottiene “grazie all’osservazione instancabile di quanto ci circonda, dei dettagli, dei comportamenti. Credo che un regista non debba né possa mai accontentarsi di quanto ha osservato per i suoi primi film, adagiandosi poi nella piccola cerchia del mondo cinematografico: il suo primo compito è di uscire sempre da tale ambiente che rischia di diventare un circolo vizioso”.
Interrogato sulla costruzione dei personaggi, il regista di Una separazione ha rivelato che il vero punto di partenza per le sue storie “non sono i personaggi ma il punto di crisi, a partire dal quale tutto il resto discende”. Tornando sulla millenaria cultura iraniana, Farhadi ha elogiato la ricchezza della lingua farsi, strumento attraverso il quale “esprimo le sottigliezze narrative ed emotive, ovvero il mio cinema che si compone più di segni che non di simboli”. “Ovviamente preferisco girare nel mio Paese, nella mia lingua, che non all’estero – anche se vi posso annunciare che al momento sto preparando in Francia il mio prossimo film – tuttavia è il linguaggio universale del cinema a venirmi in soccorso, qualcosa che ancora oggi mi incanta, così come mi incanta lo sguardo dei bambini, sono loro il mio secondo occhio, quello di un’innocenza che non vorrei mai perdere”.
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