New York alle urne, Mamdani favorito. Trump: “È un comunista. Gli ebrei che lo votano sono stupidi”

  • Postato il 4 novembre 2025
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Oltre un milione di elettori si stanno recando in queste ore alle urne per eleggere il sindaco di New York. I seggi nei cinque distretti — Manhattan, Brooklyn, Queens, Bronx e Staten Island — hanno aperto alle 6 del mattino locali (le 12 in Italia) e resteranno aperti fino alle 21, le tre della notte italiana. Gli elettori sceglieranno tra tre candidati: il democratico di sinistra Zohran Mamdani, l’ex governatore Andrew Cuomo, candidato indipendente, e il repubblicano Curtis Sliwa. I primi risultati sono attesi già nella notte.

Secondo l’ultima media di RealClearPolitics, Mamdani è in vantaggio con il 46,1%, seguito da Cuomo al 31,8% e da Sliwa al 16,3% delle preferenze. Ma la volatilità dei sondaggi rimane elevata: alcuni rilevamenti condotti la scorsa settimana davano Cuomo a soli quattro punti di distanza dal democratico, segno che la città resta divisa tra desiderio di cambiamento e timore di instabilità. L’affluenza si annuncia eccezionale. Oltre 730mila elettori hanno già votato durante i 9 giorni di voto anticipato conclusisi sabato — quasi il doppio rispetto alle primarie democratiche di giugno. Secondo il New York Post, il totale dei votanti potrebbe superare i due milioni, un traguardo che la città non raggiunge dal 1969. Un segnale di partecipazione che riflette la posta in gioco di questa elezione, percepita come una prova di forza per le grandi correnti politiche e sociali d’America.

Mamdani, 33 anni, deputato statale del Queens e figlio di immigrati ugandesi di origini indiane, rappresenta la nuova sinistra americana: inclusiva, radicale, ma anche divisiva. Sostenuto dal Working Families Party e vicino ai Democratici Socialisti d’America, Mamdani propone un’agenda centrata su alloggi accessibili, transizione ecologica e riforma del sistema di sicurezza pubblica. Se eletto, diventerebbe il primo sindaco musulmano nella storia di New York, un evento dal forte valore simbolico in una città dove convivono oltre 180 nazionalità e una delle comunità ebraiche più numerose al mondo.

A quest’ultima si è rivolta il console generale di Israele Ofir Akunis, definendo Mamdani una “minaccia chiara e immediata per le istituzioni ebraiche e le sinagoghe” e invitando gli ebrei della Grande Mela a non votare per lui. Lo stesso ha fatto Donald Trump. “Un ebreo che vota per Mamdani, che odia gli ebrei, è uno stupido“, ha scritto il presidente degli Stati Uniti su Truth. Poche ore prima, sempre attraverso il suo social network, il capo della Casa Bianca ha invitato i newyorkesi a “votare per Cuomo” e impedire la vittoria di Mamdani, da lui definito “un comunista” e “un disastro totale” per la città. Trump ha anche lanciato un avvertimento politico a Washington: “Con Mamdani sindaco, New York ha zero chance di successo. È altamente improbabile che io contribuisca con fondi federali oltre al minimo richiesto”. “Non mi farò intimidire“, la replica di Mamdani. “Affronterò queste minacce come meritano di essere trattate, ovvero parole di un presidente che non necessariamente sono legge. Troppo spesso trattiamo quello che dice come se fosse legge“, ha aggiunto.

Sul fronte opposto, Andrew Cuomo tenta un difficile ritorno dopo le dimissioni del 2021, cercando di capitalizzare il voto moderato e di presentarsi come baluardo contro “l’ideologia estremista”. Ex governatore e figura di spicco del Partito Democratico, Cuomo ha scelto la via indipendente, posizionandosi come candidato dell’esperienza e della competenza amministrativa. “New York ha bisogno di stabilità e di risultati, non di slogan”, ha dichiarato in chiusura di campagna. Il repubblicano Curtis Sliwa, fondatore dei Guardian Angels e volto noto della radio conservatrice, rimane più distanziato nei sondaggi ma difende con forza la sua piattaforma incentrata sulla sicurezza urbana e sulla riduzione delle tasse.

Il voto per la City Hall è diventato una cartina di tornasole del clima politico statunitense: da un lato, il riemergere di una sinistra progressista che tenta di ridefinire l’identità democratica; dall’altro, il tentativo dei centristi e dei repubblicani di arginare un’ondata che potrebbe estendersi ad altre metropoli. Ma la posta in gioco va oltre la politica interna. New York resta una capitale globale, motore finanziario e culturale del mondo occidentale. Chi guiderà la città nei prossimi anni avrà un ruolo decisivo nell’affrontare temi globali come la crisi climatica, la gestione dei flussi migratori e la competitività economica.

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