Netanyahu avvicina la guerra con il Libano: “Nuovo obiettivo, il ritorno degli sfollati a nord”. E prepara il cambio ai vertici dell’Idf

  • Postato il 17 settembre 2024
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Il Gabinetto di sicurezza di Israele ha aggiornato gli obiettivi della guerra a Gaza, aggiungendo alla lista anche quello di riportare in sicurezza nelle loro case i circa 60 mila israeliani residenti del nord del Paese, vicino al confine con il Libano, sfollati dopo il 7 ottobre per via della minaccia dei razzi di Hezbollah.

Finora, gli obiettivi di guerra ufficiali erano tre: l’eliminazione delle capacità militari e di governo di Hamas, il ritorno a casa di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non costituisse più una minaccia per Israele. Ora si aggiunge anche la volontà di neutralizzare le milizie sciite libanesi, alleate di Hamas e finanziate dall’Iran.

Il premier Benjamin Netanyahu lo ha scritto su X, aggiungendo che “Israele continuerà ad agire per realizzare questo obiettivo”. Un’escalation che rende la prospettiva di un conflitto su vasta scala con Hezbollah in Libano più vicino che mai.

La mossa arriva mentre nel Paese è in missione l’inviato speciale degli Stati Uniti Amos Hochstein, spedito da Joe Biden nel tentativo di raggiungere una soluzione diplomatica che eviti una guerra regionale. Hochstein ieri ha incontrato sia il premier che il ministro della Difesa Yoav Gallant: entrambi hanno ribadito che un’operazione militare contro Hezbollah, mirata ad allontanare le milizie sciite dal confine e rendere più sicuri gli insediamenti a nord, per Tel Aviv è diventata una questione di sicurezza.

Fa parte del percorso verso l’espansione del conflitto anche la decisione di Netanyahu di sostituire il ministro della Difesa Gallant, colpevole agli occhi di “Bibi” di criticare la scelta di dare priorità alla vittoria militare su Hamas a Gaza a scapito dell’accordo per lo scambio degli ostaggi. L’indiscrezione rimbalza da giorni sui media israeliani, smentita solo parzialmente dallo staff del premier.

Secondo i retroscena, Netanyahu sarebbe pronto a offrire il posto a Gideon Sàar, ex del Likud e leader di un partito di estrema destra attualmente all’opposizione, ma contrario al cessate il fuoco a Gaza e vicino alle posizioni di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sul tema delle colonie. Tra Sàar e Netanyahu non corre buon sangue, perché i due erano rivali nel Likud, ma la prospettiva di allargare la maggioranza e rafforzare la linea dura del governo con un nuovo alleato oltranzista sembra essere più forte delle valutazioni personali.

Il quotidiano di sinistra Haaretz e il principale quotidiano Yedioth Ahronoth hanno rivelato martedì che Netanyahu e Sàar sarebbero già d’accordo nel sostituire il capo di stato maggiore dell’esercito. Non è ancora chiaro se intendono aspettare che Halevi si dimetta da capo di stato maggiore o costringerlo ad andarsene. Anche con l’Idf il governo ha accumulato attriti e frizioni rispetto al piano di gestione della guerra e del dopoguerra a Gaza. Dopoguerra che Netanyahu sembra voler ritardare il più possibile.

Raid a Khan Younis: “Ucciso comandante Jihad” – Un raid aereo israeliano su Khan Younis martedì mattina ha ucciso un comandante della Jihad islamica palestinese nel sud di Gaza. Secondo il comunicato dell’Idf, Ahmed Aish Salame al Hashash era il responsabile del lancio di razzi dall’area umanitaria della Striscia contro Israele. Secondo i militari israeliani, durante l’attacco stava “operando all’interno dell’area umanitaria di Khan Younis”.

Antony Blinken evita Israele – Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha annunciato che si recherà in Egitto da martedì fino a giovedì 19 settembre per co-presiedere l’apertura del dialogo strategico Usa-Egitto con il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty. Blinken incontrerà inoltre funzionari egiziani per discutere degli sforzi per “raggiungere il cessate il fuoco a Gaza che garantisca il rilascio di tutti gli ostaggi, allevi la sofferenza del popolo palestinese e aiuti a stabilire una più ampia sicurezza regionale”. Ma, a differenza di quanto fatto nelle nove missioni precedenti, non si recherà in Israele. Una variazione di programma che appare significativa dal punto di vista diplomatico, in un momento di stallo dei negoziati tra Hamas e Stato ebraico.

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