Netanyahu all’ONU: «Israele è il ritorno a casa più antico della storia. L’Occidente non sottovaluti la minaccia islamista»
- Postato il 26 settembre 2025
- Di Panorama
- 1 Visualizzazioni


Sul podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Benjamin Netanyahu ha messo in scena un discorso destinato a lasciare il segno. Il premier israeliano ha scelto toni solenni, intrecciando orgoglio nazionale, rivendicazioni storiche e accuse severe a chi, nelle stesse sale, condanna Israele. «Sono qui non come un rifugiato o un supplicante – ha dichiarato – ma come il primo ministro di uno Stato ebraico rinato, libero, forte e prospero nella sua patria ancestrale». Il discorso si è aperto con un richiamo millenario: i secoli di esilio, le preghiere rivolte a Gerusalemme, la tragedia della Shoah che spazzò via quasi la metà del popolo ebraico. Eppure, ha ricordato Netanyahu, «oggi siamo tornati, nonostante tutto, a costruire una democrazia fiorente». Una democrazia che, a suo dire, contribuisce al mondo più di quanto riceva in cambio. Netanyahu ha insistito sul concetto di unicità. Israele, ha detto, non è un «avamposto coloniale», ma «il ritorno a casa più antico della storia registrata». Ha evocato figure bibliche – Abramo, re Davide, Isaia – per ribadire che «le radici ebraiche in questa terra sono più profonde di qualsiasi confine o costituzione». Da qui la “semplice verità” rivendicata con forza: Israele ha trasformato «la sabbia in fiori, il deserto in prosperità» grazie a innovazioni agricole, tecnologiche e scientifiche. Ha ricordato la leadership israeliana nella desalinizzazione dell’acqua, nella cyber-sicurezza, nell’intelligenza artificiale e nella medicina. «Siamo tra i Paesi più felici del mondo», ha sottolineato, «nonostante siamo circondati da minacce».
La difesa e l’etica militare
Un capitolo centrale è stato dedicato alla questione militare. Netanyahu ha ribadito che Israele «non ha mai iniziato una guerra», ma ha sempre combattuto con «chiarezza morale e disciplina». Ha descritto la pratica, ormai nota, di avvisare i civili prima dei bombardamenti tramite volantini, telefonate e messaggi di testo: «Forse siamo l’unica nazione che lo fa. Creiamo corridoi umanitari, persino nutriamo i nostri nemici». La contrapposizione etica è stata marcata con forza: da una parte Hamas e altri gruppi palestinesi che «prendono di mira i nostri bambini», dall’altra medici israeliani che curano pazienti palestinesi negli ospedali dello Stato ebraico. «In Israele la medicina non è politica, è umanità», ha dichiarato, denunciando invece episodi di antisemitismo in Occidente, come in Gran Bretagna e Australia, dove personale sanitario avrebbe rifiutato di trattare pazienti ebrei. Anche nelle prigioni israeliane, ha rivendicato Netanyahu, il confronto con i territori palestinesi sarebbe schiacciante: «Molti detenuti preferiscono rimanere nelle nostre carceri, dove hanno più diritti e dignità, piuttosto che tornare sotto i loro leader».
Attacco frontale all’ONU e all’Europa
Non sono mancati passaggi polemici contro la platea. «Questa sala è piena di contraddizioni: dittatori che parlano di libertà, sponsor del terrore che condannano l’autodifesa», ha accusato Netanyahu. Ha definito l’ostilità verso Israele «un misto di antisemitismo e gelosia»: «Abbiamo ricostruito una nazione dalle ceneri del genocidio, e questo alimenta il risentimento dietro le vostre infinite risoluzioni». Per rafforzare il messaggio, ha citato testimonianze esterne, come quella di Mudar Zahran, esponente della diaspora palestinese in Giordania, che aveva denunciato l’ipocrisia europea: «Vi indignate per i “malvagi sionisti” – ricordava Zahran – ma tacete sull’oppressione che subiamo dai regimi arabi». Anche il Regno Unito è finito nel mirino, con il riferimento a un video da Londra in cui una donna anziana veniva arrestata dopo aver criticato una preghiera musulmana diffusa in strada. «Era lei a sentirsi ospite nella sua isola», ha detto Netanyahu, contrapponendo quell’immagine all’integrazione degli arabi israeliani: «In Israele siedono in parlamento, nei tribunali, negli ospedali, persino nelle forze armate. E non scappano, restano con noi, perché sanno che qui, paradossalmente, è il posto migliore per un arabo in tutto il Medio Oriente».
L’avvertimento finale: la minaccia islamista
La chiusura è stata un monito all’Occidente. Israele, ha sostenuto il premier, conosce da decenni il volto del jihadismo: «Sappiamo come recluta, come si nasconde, come colpisce. E sappiamo questo: non si fermerà con noi». La creazione di uno Stato palestinese non sarebbe la risposta, perché «il conflitto non ha nulla a che fare con confini o terre, ma con lo scontro tra civiltà e barbarie, tra libertà e fanatismo». In un’Assemblea che negli ultimi mesi ha visto crescere i riconoscimenti formali a uno Stato palestinese, Netanyahu ha scelto la via opposta: negare che la pace dipenda dalla geografia e affermare che Israele è, e resterà, baluardo contro la minaccia islamista globale. «Non siamo un problema regionale – ha concluso – siamo un presidio della civiltà contro il fanatismo che minaccia anche le vostre società».