Nepal, il grido della gioventù contro il potere tra storia, corruzione e voglia di futuro
- Postato il 13 settembre 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
Il Nepal non è solo la terra dell’Himalaya, dei monasteri e del turismo spirituale. È un Paese che negli ultimi decenni ha attraversato trasformazioni profonde e dolorose: dalla monarchia assoluta al regime costituzionale, dalla guerra civile maoista (1996–2006) alla proclamazione della Repubblica nel 2008, fino all’instabile alternanza di governi che hanno segnato gli anni successivi. Ogni passaggio ha lasciato ferite e contraddizioni: la promessa di un futuro diverso si è spesso arenata nella palude della corruzione, dei privilegi dell’élite politica e dell’incapacità di dare risposte concrete alle nuove generazioni.
Le ultime settimane hanno riportato alla luce questo malessere in tutta la sua forza. Quella che è iniziata come una protesta contro il divieto imposto dal governo alle principali piattaforme social – Facebook, YouTube, X, WhatsApp – si è trasformata in un movimento ampio, alimentato soprattutto dalla gioventù urbana e rurale, stanca di vivere in un sistema che non ascolta. La misura, presentata come “necessaria per regolare e controllare la disinformazione”, è stata percepita come l’ennesimo tentativo di silenziare le voci critiche e soffocare la libertà di espressione.
Le piazze di Kathmandu e di altre città si sono infiammate. Non più solo slogan, ma assalti ai simboli del potere: il Parlamento, le residenze di leader politici, hotel di lusso. Un’esplosione di rabbia che ha sorpreso lo stesso governo, incapace di contenere un’ondata di protesta che non si limita più a chiedere internet libero, ma un Paese libero dalla corruzione e dal nepotismo.
Il bilancio è drammatico: decine di morti, oltre un migliaio di feriti, famiglie in lutto che chiedono giustizia. Le immagini di giovani colpiti dai proiettili della polizia, di madri in lacrime davanti agli ospedali, hanno fatto il giro del mondo. Non sono solo “incidenti di piazza”: sono cicatrici che rischiano di segnare per anni la memoria collettiva.
Sotto la pressione crescente, il Primo Ministro K.P. Sharma Oli ha rassegnato le dimissioni. Ora si profila la nomina a Primo Ministro ad interim di Sushila Karki, ex presidente della Corte Suprema, figura rispettata e prima donna a ricoprire quella carica nella storia del Nepal. La sua eventuale leadership provvisoria potrebbe aprire la strada a nuove elezioni, ma soprattutto dare un segnale di discontinuità in un Paese che ha urgente bisogno di fiducia.
La domanda però resta aperta: basterà un cambio di volti per spegnere un fuoco che arde da decenni? Perché il problema non è solo chi governa, ma il sistema che governa. Un sistema segnato da privilegi, reti clientelari, incapacità di affrontare le disuguaglianze economiche. In Nepal, oltre il 20% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, e i giovani vedono nell’emigrazione – verso India, Golfo Persico o Europa – l’unica speranza di futuro.
La protesta del 2025, dunque, è più di un episodio. È lo specchio di un Paese che si trova di nuovo davanti a un bivio. La storia insegna che i nepalese hanno saputo abbattere muri apparentemente insormontabili – dalla monarchia assoluta al regime militare – ma oggi la sfida è diversa: costruire una democrazia che non sia solo forma, ma sostanza.
Ciò che colpisce è che i giovani non chiedono privilegi, ma diritto di parola, giustizia, opportunità. La parola araba “sumud”, resilienza, che ha dato nome alla recente Flotilla per Gaza, sembra oggi risuonare anche tra le montagne nepalesi. Resilienza non come rassegnazione, ma come forza ostinata di chi non vuole arrendersi.
Le piazze infuocate del Nepal ci interrogano anche da lontano: quanta parte di quel grido somiglia ai nostri? Quando i giovani scendono in strada non per chiedere sussidi, ma dignità, il mondo intero dovrebbe fermarsi ad ascoltare. Perché, tra le nevi dell’Himalaya, non si sta giocando solo una partita nazionale: si sta scrivendo un nuovo capitolo della lunga, fragile storia della democrazia globale.
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