Nella Siria «liberata» i cristiani restano nel mirino
- Postato il 27 giugno 2025
- Di Panorama
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«Una coppia di giovani, con una bambina molto piccola in braccio, è venuta da me e mi ha chiesto se in Siria esiste ancora la speranza di poter vivere una vita tranquilla pur essendo cristiani. Io ho accarezzato la bambina, che avevo battezzato poche settimane fa, e ho detto ai miei giovani fratelli che la speranza deve esserci sempre, ma che se hanno una possibilità lontano dalla Siria forse la devono sfruttare per il futuro della piccola».
Sono le parole piene di tristezza che Samir Nassar, arcieparca cattolico-maronita di Damasco, affida a Panorama. È un uomo corpulento di quasi 75 anni che continua a emanare un’aura di serenità e fiducia verso il prossimo non ancora cancellata dalle difficoltà che il suo gregge di credenti ha vissuto nell’ultimo mezzo secolo. E con i recenti avvenimenti, la comunità cristiana che conta circa 500 mila credenti (il 2 per cento della popolazione) è sempre più spaventata.
In Siria, il regime degli Assad è crollato in 11 giorni e l’8 dicembre 2024 un cartello di movimenti guidato dal gruppo islamista Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) ha conquistato la capitale Damasco nominando un nuovo governo guidato dal suo leader, Ahmad Husayn al-Sharaa, prima conosciuto come Abu Muhammad al-Jolani. L’esercito non ha praticamente opposto resistenza andando spesso a ingrossare le file degli islamisti.
«Sotto il regime di Assad i cristiani erano tollerati, ma soltanto se non alzavano mai la voce» racconta Nassar. «Adesso però non riusciamo a capire cosa ci aspetti, a Damasco e in tutta la Siria la situazione è molto confusa e la violenza non si è fermata nemmeno dopo l’insediamento del nuovo governo».
Nelle regioni del nord, che hanno già vissuto il governo dei fondamentalisti, vi sarebbero stati diversi episodi di violenza verso i cristiani, ma l’arcieparca Nassar racconta che anche a sud la situazione sta rapidamente degenerando. «Per il momento a Damasco non ci sono stati attacchi fisici ai cristiani, sanno bene che la capitale è sotto l’occhio del mondo, ma ci sono uomini che annotano i nomi di chi partecipa alle nostre funzioni religiose e fuori dalle chiese si fanno capannelli di persone dalle lunghe barbe che organizzano sit-in improvvisati per il nuovo governo. Alcuni fedeli hanno deciso di non partecipare più alle funzioni. Noi cristiani facciamo parte della storia della Siria, siamo arrivati qui secoli prima dell’islam e conviviamo da anni con i musulmani» continua l’arcivescovo. «Sì, sotto gli Assad la vita non era facile, ma durante la guerra civile siamo diventati un obiettivo dei fondamentalisti. Molti di quelli che hanno buttato la tunica e indossato giacca e cravatta ci vedono come infedeli da eliminare o convertire a forza. La violenza e l’estrema povertà hanno costretto milioni di cristiani ad abbandonare la Siria, ora ci auguriamo che possano tornare a casa. Il fatto che siano state tolte le sanzioni è molto positivo e sicuramente migliorerà la situazione, ma dobbiamo ripartire tutti insieme dalla reciproca tolleranza, servono fatti e non parole».
Il patriarca damasceno vive nel timore che la violenza dilaghi, ma nelle province settentrionali ci sono stati episodi che fotografano la grande ipocrisia di questa «nuova Siria», l’ultimo dei quali a Homs, dove all’inizio di giugno qualcuno ha sparato contro la croce innalzata sulla facciata della cattedrale siro-ortodossa di Santa Maria della Cintura Sacra. D’altro canto a Homs i fondamentalisti hanno già arrestato chi faceva il bagno in costume, come ha raccontato l’arcivescovo siro-cattolico Jacques Mourad, imponendo un codice di condotta che preveda di indossare il burkini e non permettendo alle donne di partecipare alle iniziative della chiesa.
Difficile pensare a un Paese con meno tensioni, dato che il nuovo presidente Ahmad Husayn al-Sharaa ha militato sia nello Stato Islamico sia in al Qaeda fondando al Nusra, la diramazione siriana del network terroristico di Osama bin Laden. Nel 2017 ha creato Hay’at Tahrir al-Sham, ammorbidendo le suo posizione, ma soltanto teoricamente, perché nelle aree sotto il suo controllo si continuava ad applicare la sharia. Gli Stati Uniti lo avevano inserito nella lista dei terroristi, mettendo una taglia da 10 milioni di dollari sulla sua testa. Queste ricompensa è stata opportunamente abolita il 21 dicembre del 2024, quando al-Sharaa era già diventato il padrone della Siria.
Un uomo pericoloso insomma, ma al quale Samir Nassar vuole provare a dar credito come d’altro gli hanno dato i Paesi occidentali. «La Siria è storicamente un modello di convivenza fra etnie, religioni e popoli molto diversi e questa è da sempre la nostra vera ricchezza. Non voglio pensare a una Siria senza cristiani, sarebbe un Paese che perderebbe le sue radici e la sua storia. Il nuovo presidente al-Sharaa ha definito i cristiani “fratelli” e vuole che siano partecipi della società, ma a nord assistiamo a molti atti di violenza contro la nostra comunità. Il popolo siriano è musulmano al 75 per cento, ma non è legato a un islam tradizionale, quindi i sentimenti anti-cristiani vengono da chi predica l’estremismo. L’arcivescovo di Homs Jacques Mourad nel 2015 è stato rapito dai miliziani dello Stato Islamico, con un centinaio di fedeli, restando prigioniero per mesi. Oggi Mourad dichiara che teme ancora per i cristiani di Homs e che stanno organizzando eventi dove maschi e femmine vengono separati per paura di ritorsioni. Ad Aleppo, per anni sotto controllo dell’Isis, la situazione è ancora peggiore perché ci sono milizie armate che spadroneggiano, le stesse che utilizzavano bambini-soldato. Durante le festività pasquali la nostra comunità ha potuto organizzare le celebrazioni e questo è stato un segno che ci fa ben sperare. Una notizia positiva è stata anche l’abolizione del servizio militare obbligatorio che aveva fatto fuggire milioni di giovani terrorizzati».
Nei fatti però, dopo alcuni mesi di relativa calma, è iniziata la resa dei conti e i primi a essere colpiti con forza sono stati gli Alawiti, la minoranza sciita cui appartenevano gli Assad. Dopo false parole di pace e concordia, il governo di al-Sharaa ha bombardato quest’area colpendo soprattutto i civili. Negli attacchi alla regione degli Alawiti non sono stati risparmiati nemmeno i cristiani che hanno visto massacrare intere famiglie e prelati come nel caso di Yohann Youssef Boutros, sacerdote della chiesa di Sant’Elia a Tartus.
Ancora più dolorosa la vicenda che riguarda Fares Bassam Kawi, prima costretto a camminare a quattro zampe e poi assassinato. La guerra contro i lealisti di Assad era una scusa per dare la caccia ai cristiani di questa regione.
Gli Alawiti sono stati soltanto il primo obiettivo degli estremisti che successivamente hanno iniziato a prendere di mira i drusi, una minoranza presente anche in Libano e Israele, mentre in Siria ha una popolazione di circa 500 mila persone. Gli scontri con le milizie druse hanno lasciato sul campo centinaia di morti scatenando la reazione di Israele che si è detto pronto a intervenire. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani negli ultimi sei mesi sono state più di 7 mila le persone uccise, di cui 6 mila civili, nelle aree sotto controllo del nuovo governo. Un equilibrio estremamente precario che non ha impedito al nuovo presidente di incontrare i big delle potenze occidentali.
A settembre l’ex qaedista parlerà alle Nazioni Unite, ma continua a perseguitare le minoranze. «In queste ultime settimane ci sono stati molti episodi di violenza verso i drusi e gli Alawiti, temo però che si usino gli scontri per uccidere deliberatamente anche i cristiani» spiega pensieroso Samir Nassar. «Al momento al-Sharaa sembra più interessato ad accreditarsi a livello internazionale che a creare una società rispettosa delle differenze, anche perché dubito che il sostegno della Turchia o delle monarchie del Golfo verrebbe meno se la minoranza cristiana fosse perseguitata, e questo ci spaventa. Voglio però ringraziare il nuovo pontefice Papa Leone XIV che per il Giubileo delle Chiese Orientali ha ribadito la sua vicinanza alla nostra chiesa».