Nel cuore della guerra, una luce resiste
- Postato il 13 giugno 2025
- Economia
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
Israele e Iran sull’orlo del conflitto totale. Ma tra bombe e silenzi, c’è ancora chi cura, chi ascolta, chi sceglie la pace. Perché anche la notte più buia ha paura dell’alba.
“È una dichiarazione di guerra.” Le parole del governo iraniano risuonano come uno spartiacque nella storia già travagliata del Medio Oriente. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025, Israele ha lanciato una serie di raid su obiettivi strategici in territorio iraniano: siti nucleari, basi militari, centri di comando. Teheran ha risposto immediatamente: “Siamo pronti a combattere per anni”.
Non si tratta più di minacce incrociate. Non solo di tensioni diplomatiche. Ma di un’escalation reale, profonda, che rischia di travolgere equilibri regionali già fragili. Eppure, in questo buio che sembra totale, qualche spiraglio di luce esiste. E ci chiama in causa, tutti, lì dove siamo: a essere artigiani di pace, testimoni di senso, custodi dell’umano.
Secondo fonti internazionali e iraniane, l’aviazione israeliana ha colpito almeno quattro province, inclusi gli impianti di Natanz e Parchin, e alcune basi militari vicino a Teheran. Le esplosioni hanno scosso anche l’aeroporto di Tabriz. Si parla di decine di vittime tra militari e civili.
Il governo israeliano motiva l’azione come “preventiva” per fermare lo sviluppo nucleare iraniano. Ma agli occhi del mondo, l’operazione segna un salto di qualità nella crisi: un attacco su larga scala, pianificato da mesi, che sembra chiudere le porte al dialogo.
La risposta iraniana è arrivata a stretto giro: raid missilistici verso le alture del Golan, oltre 100 droni lanciati contro obiettivi israeliani, molti dei quali intercettati. Ma è il linguaggio usato dal governo e dalla Guida Suprema Khamenei a far tremare: “Questa è una guerra. E durerà quanto sarà necessario.”
tutti
Gli Stati Uniti si dichiarano “non coinvolti”, pur ribadendo il diritto di Israele a difendersi. Russia e Cina condannano l’attacco. L’Europa, di nuovo, si spacca tra cautela e silenzi. I Paesi arabi oscillano tra solidarietà con Teheran e il timore che un conflitto aperto possa destabilizzare l’intera regione.
Il pericolo è concreto: una guerra lunga, diffusa, con vittime anche molto lontano dai campi di battaglia. E, come sempre, a pagare il prezzo più alto sono i civili: i bambini sotto le macerie, le famiglie in fuga, gli ospedali al collasso.
Eppure, non tutto è oscurità. Proprio nelle ore più drammatiche, arrivano notizie di piccoli gesti che tengono viva la speranza:
• A Teheran, alcuni studenti di medicina sono scesi in strada per aiutare i feriti, lavorando fianco a fianco di dottori e infermieri. “Non siamo qui per combattere, ma per curare”, ha detto uno di loro.
• In Israele, giovani volontari distribuiscono cibo e conforto ai rifugiati interni. Una ragazza racconta: “Non posso fermare le bombe. Ma posso sedermi accanto a chi ha paura”.
• Online, gruppi di dialogo tra cittadini israeliani e iraniani, in diaspora, si moltiplicano. Parlano, si ascoltano, si incoraggiano a vicenda. Dicono: “Noi non siamo i nemici. I nemici sono l’odio e il silenzio.”
Sono frammenti. Piccoli, fragili. Ma reali. E profondamente umani.
E noi? Il nostro ruolo nei processi di pace
Davanti a queste notizie, potremmo sentirci impotenti. Ma l’indifferenza è la prima complice della violenza. Se non possiamo cambiare le decisioni dei governi, possiamo scegliere come reagire, come parlare, come educare. Possiamo:
• Informarci con cura, evitando la propaganda e cercando voci che raccontino l’umano, non solo lo strategico.
• Educare al dialogo, nei nostri ambienti, nelle scuole, nei social. Ogni parola conta. Ogni commento, ogni post, può alimentare odio… o accendere una possibilità di incontro.
• Pregare, se crediamo. Sperare, se possiamo. Costruire, se sappiamo. La pace non è assenza di guerra, ma presenza attiva di giustizia e relazione.
Le guerre non nascono solo nei palazzi del potere. Nascono anche nel modo in cui ci abituiamo alla logica dell’opposizione, del nemico, della semplificazione. Ma possono essere disinnescate da parole che uniscono, da gesti che curano, da comunità che non accettano la logica della vendetta.La pace si costruisce nella fatica di riconoscere l’altro. Anche – e soprattutto – quando l’altro ha un volto, una lingua, una storia diversa dalla nostra.In mezzo al rombo dei caccia e ai proclami di guerra, resta uno spazio fragile e fortissimo per chi crede nella pace. Lì possiamo stare. Lì dobbiamo stare.
l’alba non è cancellata
C’è un proverbio persiano che dice: “Anche la notte più buia ha paura dell’alba.”
E allora, mentre il mondo trattiene il fiato, noi possiamo essere quella luce. Quella fiammella che non si lascia spegnere.
Non c’è pace senza giustizia, è vero. Ma non c’è giustizia senza compassione. E oggi, in questo tempo spezzato, la nostra compassione può diventare azione. Parola. Scelta.
Perché la guerra non è inevitabile. È sempre una scelta. Così come lo è la pace.
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