“Nei fiumi europei tre microplastiche per metro cubo d’acqua”: il maxi-studio su 2.700 campioni dal Tevere alla Senna
- Postato il 13 aprile 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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In nove grandi fiumi europei si registra un preoccupante inquinamento da micro- e nanoplastiche, che causa rischi per la biodiversità e per la salute umana. A denunciarlo sono i risultati di 14 studi, pubblicati il 7 aprile in un’edizione speciale della rivista Science and Pollution Research. Nel 2019 la goletta della fondazione ambientalista Tara Océan si è impegnata nella Microplastics mission per valutare la contaminazione da microplastiche (frammenti di dimensioni inferiori a cinque millimetri) e nanoplastiche (inferiori a un millimetro) nei fiumi Tevere, Rodano, Ebro, Senna, Loira, Elba, Reno, Tamigi e Garonna. Per sette mesi l’imbarcazione ha risalito i corsi d’acqua dalla foce fino alla prima grande città, prelevando 2.700 campioni poi esaminati in 19 laboratori da quaranta scienziati fra chimici, biologi e fisici, coordinati dal Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (Cnrs). Dall’Italia alla Spagna, dalla Francia alla Germania, dalla Repubblica Ceca alla Svizzera fino all’Inghilterra, tutti i fiumi europei (e presumibilmente i loro numerosi affluenti) hanno mostrato alti livelli di contaminazione, quantificati in “tre microplastiche per metro cubo di acqua”. Non saranno le quaranta microplastiche dei dieci fiumi più inquinati del mondo (Gange, Nilo, Indo, Niger, Mekong, Yang Tse, Fiume Giallo, Fiume delle Perle, Hai He), sulle cui sponde è prodotta la maggior parte della plastica (o ne sono trattati gli scarti) ma certo non è un dato da sottovalutare.
“Sul Rodano tre particelle al secondo” – “Quelle che chiamiamo correntemente plastiche sono parte del gruppo di sostanze dette polimeri o macromolecole”, spiega il professor Giorgio Petrucci, chimico esperto di polimeri. Per allungarne la vita e limitarne il degrado sotto l’azione di agenti chimici e fisici come luce, raggi ultravioletti, ossigeno dell’aria e temperatura, i polimeri vengono “additivati di plastificanti, antiossidanti, filtri ultravioletti, cariche colorate eccetera”. Ma con il tempo il polimero arriva a fine vita, “ossia tende a spaccarsi, sfarinare e rompersi in particelle sempre più piccole”. Ed ecco diffondersi le famigerate micro- e nanoparticelle trasportate dal vento o portate dai fiumi al mare. “A Valence, sul Rodano, la portata è di mille metri cubi al secondo, come dire tre particelle plastiche al secondo“, osserva Jean-François Ghiglione, caporicercatore di ecotossicologia microbica marina al Cnrs. Proprio studiando il Rodano, che ha il maggior afflusso di acqua nel Mediterraneo di nord-ovest, si è potuto stimare che le plastiche si diffondono nel bacino in meno di un anno; oltre il 50% arriva nel bacino algerino e oltre, mentre quelle che affondano rimangono più vicino alla foce. Grazie a soluzioni tecniche innovative, è stato possibile individuare anche i frammenti più minuscoli, che “si distribuiscono su tutta la colonna d’acqua e vengono ingeriti da molti animali e organismi”, con evidente danno agli ecosistemi, alla biodiversità e alla nostra salute. In effetti queste nanoparticelle sono quelle che più facilmente entrano nella catena alimentare.
Produzione industriale e agricola – La ricerca ha stabilito un legame diretto tra produzione industriale e inquinamento ambientale. Un quarto delle plastiche rinvenute sulle rive dei fiumi e sulla costa francese (raccolta frutto dell’iniziativa Plastique à la loupe, plastica sotto la lente, che coinvolge ogni anno 15mila allievi delle scuole francesi) sono le cosiddette “lacrime di sirena”, i granuli vergini dell’industria. Ma sulle rive dei fiumi sono stati trovati anche molti resti di contenitori monouso, soprattutto alimentare. Purtroppo si prevede che la produzione di plastica, già raddoppiata negli ultimi 15 anni, triplicherà nel 2060. Anche l’agricoltura, e in particolare l’orticoltura, ne fa ampio uso, come denuncia Petrucci: sotto accusa le serre, ma anche “i teli di plastica usati per mantenere umido il terreno ed evitare che i prodotti si sporchino di terra”. Perciò anche le campagne contribuiscono alla contaminazione, mentre per quanto riguarda le città i prelievi raccolti a valle e a monte non mostrano differenze evidenti.
La plastisfera e l’effetto spugna – Oggi poi ci sono anche ecosistemi che proliferano sugli ambienti dei rifiuti plastici e vengono trasportati lontano. La ricerca francese ha individuato sulle micro- e nanoplastiche i primi batteri patogeni virulenti per l’essere umano: Shewanella putrefaciens, responsabile di batteriemia, infezioni a orecchie e tessuti molli, peritoniti. Già a inizio anno una ricerca aveva mostrato la capacità delle plastiche di diffondere batteri resistenti agli antibiotici. Oltre a trasportare le sostanze chimiche di cui sono composte, poi, le micro- e nanoplastiche assorbono come spugne altre sostanze tossiche ambientali (come pesticidi e metalli pesanti) presenti nell’ambiente, diventando un concentrato di veleni. La scienza ha dimostrato che tutti i nostri organi sono pervasi di plastiche; vedendone il carico tossico c’è da stare poco allegri.
Agire subito – Già nel 2023 un rapporto dell’Ispra incentrato su 12 fiumi italiani (tra cui Tevere, Adige, Po, Ombrone, Magra), aveva rilevato che l’85% dei rifiuti presenti era costituito da plastiche, di cui il 35% monouso. Nel Tevere, in particolare, uno studio dell’università di Tor Vergata (Marine Pollution Bulletin, 2024), ha rilevato un’alta presenza di polistirene e microplastiche sui fondali marini alla foce del fiume. Riguarda proprio il Tevere, ma anche l’Aniene e il Tronto il nuovo progetto Plasticentro di Legambiente, inteso a contenere l’inquinamento da plastiche nelle loro acque. Giustamente ci aspettiamo che siano enti pubblici e ong ad agire, ma come individui possiamo fare molto. Alcuni elementi non sono sotto il nostro controllo (per esempio l’abrasione dei pneumatici), ma molti altri sì: secondo l’Unione europea, tra i maggiori responsabili della formazione di microplastiche ci sono il lavaggio dei tessuti sintetici di abiti e arredi e l’uso di prodotti per lo scrub. Senza contare la mole quotidiana di plastica che utilizziamo: gli snack monoporzione, i contenitori usati alimentari, gli utensili di cucina e altri oggetti di uso domestico. Per tacere delle bottiglie d’acqua che, come ricorda il professor Petrucci, fino a trent’anni fa avevano il vuoto a rendere e ora finiscono nell’ambiente (con il tappo attaccato, però). Si impone dunque più di una riflessione per salvare il salvabile.
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