NBA Freestyle | Da ultimi e derelitti a sorpresa della stagione: il mezzo miracolo dei Pistons
- Postato il 28 febbraio 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
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I Pistons fanno sul serio?
L’anno passato sembravano una barzelletta. Un’accozzaglia di giocatori, apparentemente senza un vero piano di gioco, né volontà per attuarlo. Mestieranti mischiati a giovani promesse, confuse dalle tante sconfitte, dall’assenza di gerarchie in campo. Chiusero la stagione da ultimi in assoluto (14 vinte, 61 perse). Poi, qualcosa è cambiato. La squadra si è evoluta. Così hanno fatto anche i giocatori. Certo, c’è ancora da lavorare per dare continuità a questa spinta. Ma i Pistons sono in piena corsa playoff (sesti a Est), giocano bene, sono piacevoli da vedere, sono la sorpresa della stagione. Uno dei più grandi rimbalzi di sempre, in stile Spurs quando esordì David Robinson. Hanno migliorato efficienza offensiva, passando dalla posizione 27 della scorsa stagione all’attuale 12. Sono cresciuti anche in efficienza difensiva. Toccavano il fondo (25) nel 2023-24, sono undicesimi al momento. Cade Cunningham è ormai è un All-Star. Stile di gioco da vero tuttofare, sa creare dal palleggio, sa servire i compagni, è molto migliorato nel tiro da fuori. Ausar Thompson (gemello dell’Amen di Houston) si sta rivelando un difensore sull’uomo dalle grandi prospettive. Jaden Ivey, prima di farsi (davvero) male, stava giocando in modo molto incoraggiante, con oltre 17 punti di media e il 40% da fuori. Jalen Duren, Marcus Sasser e Ron Holland non fanno gridare al miracolo, ma il loro mestiere in rotazione lo eseguono abbastanza bene. Poi ci sono i veterani, che danno tanta sostanza. Tim Hardaway Jr., lontano anni luce dai fasti del ben più talentuoso padre, è sempre affidabile. Tobias Harris è quello che è sempre stato, un giocatore NBA di buon livello, capace di farsi notare quando c’è da mettere punti a referto. Mentre Malik Beasley sembra quasi quello visto a Minnesota, con un tiro da tre davvero mortifero (42,5%). Molto bene. Se continua così, molto bene.
Steph Curry non finisce mai
Negli anni ’90, Chris Jackson dei Nuggets (poi ribattezzatosi Mahmoud Abdul-Rauf) aveva un movimento che per i tempi dava piuttosto nell’occhio. Portava avanti la palla, puntava il difensore, se la passava sotto le gambe e tirava da tre direttamente dal palleggio. Non era così usuale come oggi. Era una mosca bianca. I tiratori si identificavano con la ricezione dopo un taglio a ricciolo di Reggie Miller. O con la ricezione di Dale Ellis dopo un penetra e scarica di un compagno. Era quello che andava per la maggiore. Poi è arrivato Steph Curry e il tiro da tre dal palleggio è diventato popolare. Ma il livello che ha raggiunto la stella di Golden State è irraggiungibile, probabilmente anche per i posteri. Stanotte, nella vittoria contro Orlando, c’era da non credere ai propri occhi. Ha messo 56 punti con 12 triple, con bacio in fronte della mamma (presente alla gara). Alcuni tiri on-the-ball rimarranno nella storia del gioco (come quello da quasi centro campo o quello in faccia a Caldwell-Pope nel secondo tempo dalla posizione di ala). Tra l’altro, Curry è stato un satanasso anche quando ha ricevuto dopo aver sfruttato un blocco. E ha mostrato una sensibilità per l’assist (spettacolari alcuni in verticale a servire il tagliante) da primato nella storia. Non finisce mai di stupire? Lunga vita.
I Warriors ritirano la maglia di Iguodala
In settimana, i Golden State Warriors hanno ritirato la maglia numero 9 di Andre Iguodala. Si tratta del massimo tributo che una franchigia NBA può dedicare a un proprio ex giocatore. Ci mancherebbe altro. Iguodala è stato uno dei giocatori chiave dei quattro Titoli vinti dai Warriors e tra l’altro, per non farsi mancare nulla, è stato MVP delle Finali del 2015. Si, proprio lui. Non Steph Curry, non Klay Thompson. Come mai? Perché l’ex rookie dei Sixers ha rivoluzionato il gioco del “collante” di una squadra, portandolo a livelli di perfezione senza precedenti. Entrato nella NBA come slasher, come saltatore muscolare, Iguodala si è trasformato anno dopo anno in un giocatore a tutto campo. Un’ala in grado di fare quello che serviva per vincere, senza concentrarsi su nessun aspetto specifico del gioco. Servivano punti, perché l’attacco era meno in ritmo? Si faceva avanti. Così come rispondeva presente se serviva un difensore in grado di mettere i bastoni tra le ruote al primo violino avversario. Inoltre, guidava la transizione, passava la palla, la metteva da tre (senza essere un tiratore puro), giocava da leader. Quei giocatori che se guardi solo le cifre, esclami “beh, nulla di eclatante”. Quei giocatori che capisci cosa portano in dote solo se guardi davvero la partita: ti accorgi di come cambia l’inerzia del gioco, magari dopo una loro palla rubata, uno scivolamento difensivo chiave o un volo sugli spalti con recupero. Andre Iguodala rimarrà per sempre nella storia del basket nella Bay Area (e non solo). Strameritato.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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