Napoleone a Garlasco: il magistrato che vuole riscrivere la storia del delitto di Chiara Poggi

  • Postato il 6 luglio 2025
  • Di Panorama
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Sarà il nome. Sarà il cognome. O, forse, l’insieme. Perché, se ti chiami Napoleone, qualche idea di comando e battaglie te la porti addosso, quasi per predestinazione. Se poi al cognome unisci un nome come Fabio, che evoca il generale romano Fabio Massimo, detto «il Temporeggiatore», che con una guerra di logoramento contribuì alla vittoria sui cartaginesi, beh, la figura si completa: il piglio del condottiero accanto alla prudenza, e a un’attenta gestione della forza. Per Fabio Napoleone, dal dicembre 2021 procuratore a Pavia, nome e cognome sono anche la sintesi di oltre 40 anni di lavoro: un mix tra l’attitudine al comando mostrata nelle tante indagini che fin qui ha condotto, e il ponderato rigore usato nelle aule di tribunale. Nato a Bari 68 anni fa, cresciuto nel piccolo centro di Ortona, in Abruzzo, Napoleone dallo scorso marzo è finito in un (per lui inedito) turbine mediatico perché ha voluto riaprire le indagini sui misteri della morte di Chiara Poggi, assassinata a Garlasco nell’agosto 2007, alla ricerca di una verità giudiziaria diversa da quella cristallizzata nella controversa condanna del fidanzato della vittima, Alberto Stasi.

Napoleone, che conduce il caso con il procuratore aggiunto Stefano Civardi, sta ribaltando il lavoro e le certezze dei suoi predecessori di 18 anni fa. I sospetti degli inquirenti oggi si concentrano su Andrea Sempio, un amico del fratello di Chiara, il cui Dna è compatibile con quello rimasto sotto le unghie della vittima. L’inchiesta è il classico «cold case»; si potrebbe dire, anzi, che è un caso più-che-freddo. L’attenzione mediatica, però, è fin troppo calda. Le cronache sono ipnotizzate dall’interesse della Procura per i tanti dettagli fin qui inesplorati, dalle continue scoperte degli inquirenti su impronte dimenticate, possibili moventi mai individuati e armi del delitto mai recuperate: novità che sembrano tutte accendersi come elettroni radioattivi in quella nuvola di attivismo che è da sempre il tipico «metodo Napoleone». Con un corollario paradossale: perché l’uragano informativo su Garlasco si scontra con l’inclinazione al silenzio del procuratore, e con il suo desiderio di tenere tutto sotto controllo. Entrato in magistratura nel 1981, a soli 24 anni, inizialmente con le funzioni di giudice a Milano, Napoleone s’è messo a fare il pubblico ministero nel 1988 e da allora non ha mai smesso. Proprio a Milano, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, aveva preso parte ad alcune inchieste importanti: dalla «Duomo Connection», condotta all’ombra di una già famosa Ilda Boccassini, da cui erano emerse le prime penetrazione finanziarie di Cosa Nostra nel Nord, fino ai processi di Mani Pulite contro la corruzione nell’urbanistica, un tema ultimamente tornato di gran moda negli uffici giudiziari milanesi.

In Procura c’è chi ancora ricorda la cura maniacale di un’altra inchiesta di Napoleone, quella sui dossieraggi Telecom: un’indagine difficile, che aveva preso di mira lo spionaggio su computer e telefoni di politici, giornalisti e imprenditori. Nel 2006 erano stati arrestati Giuliano Tavaroli, capo della security di Telecom, ed Emanuele Cipriani, ex carabiniere titolare della Polis d’Istinto, un’agenzia investigativa fiorentina che vista con gli occhi di oggi pare la «madre» delle tante centrali private d’intelligence delle ultime cronache giudiziarie: dagli accessi abusivi alla banca-dati della Direzione nazionale antimafia, agli spionaggi attribuiti alla società milanese Equalize. Alla chiusura delle indagini sugli spionaggi Telecom, nel luglio 2008, Napoleone e i due colleghi Nicola Piacente e Stefano Civardi (che dal 2023 è tornato ad affiancarlo a Pavia) avevano depositato 169 faldoni zeppi di atti, sequestri, perizie e 400 interrogatori. I tre Pm avevano  fatto rogatorie e accertamenti in Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti, a Guernsey, nel Principato di Monaco e in Lussemburgo. Un’immensa mole di lavoro, accumulata in poco più di due anni senza sbavature o polemiche.Poi, nel novembre 2008, Napoleone aveva lasciato Milano e s’era trasferito a Sondrio, a capo della Procura.

Anche questo frequente traslocare da città grandi a piccole pare un destino, per il magistrato. Un po’ come l’altro Napoleone, il Bonaparte, che partito dalla minuscola Ajaccio era stato imperatore a Parigi e poi era stato confinato all’Elba; e dopo esserne fuggito, per trasformarsi in folgore di battaglia e infuocare l’Europa, era stato infine costretto all’oscurità nella sperduta isola di Sant’Elena. Anche a Sondrio, però, il procuratore Napoleone non era certo rimasto nell’ombra: s’era occupato delle corruttele degli uffici dell’urbanistica in piccoli Comuni della provincia e delle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti. Desideroso d’altro, di certo ambizioso, Napoleone nel 2014 s’era candidato al Consiglio superiore della magistratura con Area, il cartello «progressista» tra le due correnti di Magistratura democratica e Movimento per la giustizia, l’estrema sinistra giudiziaria. Nel fulcro del potere giudiziario romano, Napoleone era approdato trionfalmente, con 1.127 voti, cento in meno del carismatico leader della corrente centrista Unicost, Luca Palamara.

Proprio quella consiliatura sarebbe stata funestata dallo scandalo delle promozioni concordate in segreto tra le correnti dei magistrati: una macchia indelebile per la categoria, emersa nel 2019 grazie alle scoperta delle migliaia di raccomandazioni, trattative e mercanteggiamenti nelle chat telefoniche di Palamara. In quel Csm, Napoleone aveva molto contribuito al varo, nel 2015, del «Testo unico della dirigenza giudiziaria» che in 95 articoli stabiliva i criteri per scegliere i capi degli uffici giudiziari. Una riforma che, pur introducendo criteri formali di merito, non ha scalfito il potere delle correnti nel Csm. Anzi, stabilendo che il giudizio sui candidati debba essere «complessivo e unitario», e che serva una non meglio identificata «valutazione dei risultati conseguiti», il Testo unico ha perpetuato la totale discrezionalità di chi decide le nomine. Anche Napoleone l’avrebbe presto scoperto, suo malgrado: uscito dal Csm, nel 2019 era tornato a Milano in Corte d’appello, come sostituto procuratore generale, e subito s’era candidato a procuratore generale. Nel dicembre 2020, però, gli era stata preferita (14 voti a otto) Francesca Nanni, capo della Procura di Cagliari e di Magistratura democratica. Malgrado la vicinanza ideologica, Area aveva criticato con durezza quella scelta, attribuendola a «una visione distorta e formalista» e «a quel carrierismo che ha condotto la magistratura e il Csm a una crisi di credibilità senza precedenti». Dicono che lo stesso Napoleone l’avesse presa malissimo. Pare stesse preparando un ricorso al Tar e che avesse rinunciato solo in vista della promozione a Pavia. Certo, per lui quel 2020 era stato l’anno peggiore.

Un anno davvero orribile: in giugno aveva tragicamente posto fine alla propria esistenza la sua ex moglie, Laura Siani, sostituto procuratore a Lecco. Ma la vita continua, come si dice, e il procuratore di Pavia risulta legato a un’altra donna magistrato, Luisa Russo, già pm a Sondrio e dal 2024 alla Procura generale di Milano. Ora Napoleone ha 68 anni. Gliene restano appena due, prima della pensione. Chissà, magari in età matura il Fabio «temporeggiatore» inizia ad arretrare davanti al Napoleone condottiero. E dopo tante guerre e qualche sconfitta, con la mossa su Garlasco, il procuratore ha forse scelto come essere ricordato: con un’ultima battaglia, capace d’imporre un suo sigillo alla Storia.

Autore
Panorama

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