Nanotecnologie, invenzioni giganti

  • Postato il 15 settembre 2024
  • Medicina
  • Di Panorama
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Nanotecnologie, invenzioni giganti



Vengono già impiegati nei più sofisticati strumenti elettronici come nei tessuti e in tanti prodotti di largo consumo. Ma grazie alle dimensioni «infinitesimali» che oggi raggiungono, avranno sempre più spazio in molti altri settori, dalle terapie mediche all’edilizia.


Si chiamano «frutti della passione» ma non si trovano sul banco del mercato, perché con quelli esotici condividono solo la forma. Sono capsule di vetro nanometriche, contenenti «semi» di oro ancora più piccoli che possono interagire con la radiazione X e aiutare a focalizzare l’effetto terapeutico della radioterapia dove è necessario, limitandone gli effetti collaterali. I ricercatori dell’Università di Genova e dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) ne hanno dimostrato l’efficacia in studi per ora sperimentali, in accompagnamento alla radioterapia per i tumori di testa e collo HPV positivi, pubblicati questa estate sulla rivista Advanced Materials. E minuscoli «nano» lingotti d’oro sono stati testati anche dall’ospedale San Raffaele di Milano per curare i tumori invisibili della vescica. Questa tecnologia è nella nostra quotidianità da molto tempo, ed è stata la scintilla per progressi in numerosi campi scientifici. Ha profondamente cambiato gli strumenti elettronici e nei prodotti tessili è utilizzata da anni, si pensi al Goretex o alle fibre idrorepellenti, isolanti, antimacchia. Nella medicina è ritenuta una manna dal cielo perché può aiutare a produrre «farmaci intelligenti», più efficaci e senza gli effetti collaterali di quelli tradizionali. E oggi ambisce a rivoluzionare, oltre alle terapie, anche il settore dell’energia.

Questa scienza dell’infinitamente piccolo consiste nella capacità di misurare, manipolare e organizzare elementi di dimensioni inferiori a un micrometro, ovvero da 1 a 100 nanometri. Un nanometro (1 nm) corrisponde a un miliardesimo di metro. Si consideri che un capello umano ha un diametro di circa 80 mila nanometri... La possibilità di manipolare particelle e oggetti di tali dimensioni e di usare le proprietà mutevoli dei materiali si sfrutta, per esempio, nei microchip per l’intelligenza artificiale di Nvidia, l’azienda Usa che sviluppa processori grafici e transistor di 5-10 nanometri utili ad alimentare appunto l’Ia. Il titolo azionario del colosso americano ha toccato fino al 700 per cento di crescita in borsa a seguito dell’esplosione della domanda dei suoi super processori, indispensabili per sistemi più efficienti.

«Alcune nanoparticelle vengono prodotte fin dagli anni Trenta del secolo scorso in quantità enormi, perché sono la componente base di oggetti che utilizziamo tutti i giorni. Come gli pneumatici delle automobili: una delle ragioni del loro colore nero è perché nella gomma sono disperse particelle micrometriche e nanometriche di carbonio (nerofumo) che le conferiscono buone proprietà meccaniche» spiega Paolo Milani, ordinario di Struttura della materia al Dipartimento di fisica dell’Università di Milano che si occupa da anni di sistemi e dispositivi realizzati con «componenti nano-strutturate», e ha sviluppato una trentina di brevetti utilizzati nel campo. Prosegue Milani: «Nel 2011 da un esperimento “sbagliato” condotto presso il C.I.Ma.I.Na (Centro di eccellenza Interdisciplinare Materiali e Interfacce Nanostrutturati, ndr), ci accorgemmo che era possibile rendere un materiale plastico conduttore di elettricità tramite l’uso di componenti “nano strutturate”, mentre invece la plastica è un isolante. Depositammo un brevetto e, su quella base, fondammo con tre miei studenti (Luca Ravagnan, Gabriele Corbelli e Cristian Ghisleri, ndr) la startup Wise con sede a Cologno Monzese e a Berlino, che crea elettrodi impiantabili per il monitoraggio cerebrale».

Il team di Milani ha così messo a punto una tecnologia unica, approvata lo scorso anno dalla Food and Drug Administration americana (Fda). «Consente la produzione di elettrodi deformabili in grado di adattarsi ai dettagli dell’anatomia del cervello senza danneggiarlo» precisa il ricercatore. «Migliorano il monitoraggio dell’attività cerebrale e la qualità del trattamento per i pazienti che già beneficiano della stimolazione mediante elettrodi impiantabili. Non sono terapeutici ma vengono usati nella neurochirurgia per registrare l’attività cerebrale. Wise lavora anche a un elettrodo inseribile nella colonna vertebrale per il dolore cronico, ma è ancora in fase sperimentale pre clinica». Non a caso Wise, con 50 milioni di euro di investimenti da capitale privato, è considerata una delle più promettenti realtà industriali nel campo della neuro-stimolazione a livello mondiale.

Uno degli obiettivi dei ricercatori che lavorano su scala nanometrica è creare strumenti per trasformare il modo in cui si diagnosticano, e si trattano, le malattie. «Con i nano-vaccini di Moderna e Pfizer-BioNTech, per esempio, la pandemia da Covid è stata sconfitta» dice Sonia Antoraz Contera, ordinaria di Fisica biologica all’Università di Oxford e autrice del libro Nano Comes to Life: How Nanotechnology is Transforming Medicine and the Future of Biology. «Queste due aziende stanno lavorando per sviluppare vaccini terapeutici per il cancro basati sulle loro ricerche nanometriche. La tecnologia del “quasi invisibile” viene impiegata anche nei sensori per rilevare batteri e virus, e per creare modelli per la rigenerazione dei tessuti, come nelle lesioni del midollo spinale o nel recupero dopo un infarto. È utilizzata negli organi e nei tessuti artificiali perché le impalcature che costituiscono i nostri corpi - il collagene - sono anch’esse nanometriche. È necessaria per controllare come si producono materiali artificiali in laboratorio, o che possono essere usati come modello per la ricrescita dei tessuti. Le applicazioni sono moltissime».

Secondo Contera, la nanomedicina potrebbe prevenire anche la resistenza agli antibiotici, un problema sempre più grave. «Le versioni “nano” di questi farmaci possono essere più efficaci dei normali perché possono combinare fisica e chimica per eliminare i batteri, privandoli della loro capacità di sviluppare resistenza. Ci vorrà tempo ma ci muoviamo nella giusta direzione». La maggior parte degli antibiotici tradizionali richiede dosi multiple in un rilascio sistematico; mentre questi, con una singola dose avrebbero i vantaggi di un impiego prolungato, specifico e controllabile per il «bersaglio» della malattia. Tra i tanti altri impieghi «nano», vanno anche ricordati i nuovi materiali per realizzare automobili, racchette, scarpe da corsa. Nel settore edilizio stanno rivoluzionando il modo in cui vengono protetti e mantenuti gli edifici: migliorano resistenza e durata delle superfici, creando barriere invisibili contro agenti atmosferici e usura. L’utilizzo di isolanti con tali tecnologie migliora inoltre l’efficienza energetica.

Tutto bene, quindi, il futuro è una strada «nanometrica» ormai spianata? Ci sono in realtà alcuni dubbi e incognite, su cui si sta investigando. Poiché queste particelle sono molto piccole, alcune possono risultare dannose per l’organismo umano e si ipotizza che siano cancerogene. Aggiunge Paolo Milani: «Fino a poco tempo fa nelle gomme da masticare e in alcuni additivi per gli alimenti erano presenti nano particelle di biossido di titanio. Oggi esistono regolamenti europei che le vietano nei cibi. E questo composto chimico si usa ancora nei dentifrici e nei cosmetici». Nelle creme solari ha la capacità di riflettere le radiazioni ultraviolette. E, almeno finora, la sua applicazione sulla pelle è stata considerata sicura.

Esiste infine la nanotecnologia del Dna, nata nel laboratorio del biochimico Nadrian Seeman, a New York già negli anni Ottanta. «Da allora ci sono stati grandi progressi e attualmente è possibile “piegare” un pezzo di Dna in qualsiasi forma si desideri. Si sta iniziando a utilizzare come vettore di farmaci o come antibiotico» precisa ancora Contera, spiegando il potenziale impiego dei nanorobot. «Ci sono alcune particelle intelligenti che si possono far agire, controllandole. Un gruppo di studio negli Usa sta lavorando sull’ossido di ferro per sopprimere le risposte del sistema immunitario nelle malattie autoimmuni. Ancora: ci si potrà ispirare alla natura, si pensi al legno, per creare applicazioni nanotecnologiche in elettronica, nei materiali e nell’energia. Idealmente ridurremo i costi di produzione e le emissioni di carbonio. Magari le utilizzeremo per sviluppare sensori per agenti patogeni tra cui, potenzialmente, applicazioni nelle armi biologiche. Come sempre, l’impiego della tecnologia non dipende dagli scienziati, ma dalle scelte della politica. La sfida è aperta: speriamo venga raccolta nel modo giusto».

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Autore
Panorama

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