Morto "Roccia" Stefano Capitanio mancato in un giorno speciale, lutto per il campione di bodybuilding e ultrà basket

  • Postato il 4 marzo 2025
  • Di Virgilio.it
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Innegabile l’interrogativo su come e perché la sua esistenza si sia conclusa proprio a poche ore di distanza dalla pubblicazione di un ricordo tangibile, profondo e toccante quanto il ringraziamento per i quattro anni in più concessi, dalla malattia e dalla vita. Stefano Capitanio, bodybuilder già campione di rilievo internazionale e istruttore, aveva affidato a una riflessione pubblica le sensazioni che lo hanno attraversato in un anniversario significativo, come quello del risveglio dal coma in cui era caduto.

Oggi, Udine e lo sport hanno appreso la notizia della sua scomparsa avvenuta in circostanze assurde, se i tasselli si congiungono in un ordine incomprensibile che pure segna una sequenza. La logica è incomprensibile, sconosciuta, eppure Capitanio è spirato a poche ore dal giorno in cui era tornato alla vita dopo 36 giorni di coma.

Stefano Capitanio è morto, chi era

Stefano Capitanio, classe 1964, aveva lasciato Udine per Rimini, dove si era trasferito per continuare la sua attività di bodybulder e istruttore. Una professione che aveva incontrato per ripiego, come aveva illustrato egli stesso in una delle rare interviste concesse in questi decenni di attività, successi, impegno.

Era un ragazzino quando si infortunò seriamente sui campi di calcio, coltivando l’ambizione di ripercorre le orme paterne e giocare da professionista.

Il grave infortunio che lo fermò, allontanando il giovanissimo Stefano dal calcio, si rivelò propedeutico al culturismo: la frattura della rotula scomposta richiedeva una riabilitazione con il supporto delle macchine che scoprì allora. Sette giorni su sette, quegli esercizi obbligatori si tradussero in passione, in una carriera nel bodybuilding e nella futura professione.

L’incontro con il culturismo

Aveva incominciato in una palestra alquanto nota, in quegli anni, “California” che cita in una delle rare interviste concesse a “Culturismo italiano” e reperibile on line; un’occasione per imparare a comprendere, rileggendo le sue risposte così dense e lunghe, l’intensità della sua dedizione allo sport all’indomani della fine di un sogno che coincideva con l’attività calcistica pura.

Senza alcun indugio, aveva accantonato quell’ideale per altro quando incominciarono ad esplodere le palestre, i concorsi, a tradurre il culturismo in un percorso preciso, codificato. Da lì iniziò una carriera che lo vide gestire per anni la “Body Center Gym” di via Baldasseria Bassa, nella zona sud della città, il quartiere dove Capitanio viveva prima di trasferirsi lontano dal Friuli.

La scelta di ricominciare e il trasferimento a Rimini

In questa stessa intervista aveva ripercorso quegli anni, formativi ed irripetibili, e aveva spiegato il perché di quella scelta.

“Il 2012 è il mio anno migliore, stravinco italiani Wabba (cat over 40 ed assoluto) poi 2 settimane più tardi mi ripeto ai mondiali di Padova!! Ho raggiunto l’apice della mia carriera, ma 2 mesi dopo mi cadde il mondo addosso. Diagnosi: diabete mellito uno! Non posso crederci, proprio ad uno come me doveva capitare? Passo mesi molto duri a livello psicologico, ma riesco a conviverci e riesco a riprendere tutto il peso perso (circa 20 kg in meno di un mese) mi convinco che dovrò conviverci per sempre e mi faccio forza!! Nel febbraio 2013 conosco Manuela la mia attuale compagna e mi convince di trasferirmi a Rimini città in cui vivo da 2 anni. Manuela mi vede ancora con il “fuoco dentro”e insieme decidiamo di “rientrare”in pedana sapendo che metterò in gioco molto di me stesso perché dovrò capire come reagirà ora il mio corpo alle sollecitazioni di una preparazione che comunque sarà molto più dura di prima!! Vinco il trofeo “linea sport” Aicap poi un terzo posto al trofeo 2 torri un ottimo secondo al Mr. Universo Wabba di Helsinki e per finire un primo posto al Ludus Maximus IFBB!!”

La passione ultrà per il basket

Il soprannome Roccia costituisce, però, un legame più con l’ambiente ultrà che quello agonistico. Negli anni ’80 infatti, Capitanio frequentava molto la curva nord dell’allora Stadio Friuli, tanto da essere stato tra i fondatori – nel 1980 – di uno dei gruppi più longevi nella storia del tifo bianconero, gli Hooligans Teddy Boys. Seguiva la vecchia Apu, poi scomparsa nella prima metà degli anni ’90 e sostituita dalla Libertas dei Querci (che ebbe poca fortuna) e poi con il nuovo ciclo della Snaidero.

Al tempo della rinata franchigia arancione, Roccia era il riferimento principale della parte più calda dell’amore cestistico udinese. Dopo il trasferimento in Romagna, a Rimini appunto, anche per via dell’assenza di u riferimento tra Snaidero e la nuova Apu, la sua presenza è stata meno costante, ma l’attaccamento alla pallacanestro non è mai mancato.

Il Covid e i 36 giorni terribili di incertezza

Roccia ha vissuto intensamente la sua vita da ultrà, che ha scelto e ribadito pur trasferendosi a Rimini in anni più recenti. Quattro anni fa aveva contratto il Covid e aveva rischiato di perdere la vita come a tanti pazienti, in quei mesi strazianti della pandemia: era stato 36 giorni in coma, senza sapere se da quella disperazione poteva o sapeva uscire.

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Poi era accaduto quel che aveva descritto egli stesso con le sue parole sui social, su facebook in particolare, con la sensazione di gratitudine nei riguardi del personale medico e paramedico che lo aveva assistito, gli amici e le persone care. Un sentimento autentico che aveva scelto di fissare in un post proprio poche ore prima di morire.

Oltre al mondo dello sport, del culturismo e del tifo organizzato e ai tanti amici il lutto ha colpito la compagna Manuela (che ha tentato di tutto per salvarlo, senza riuscire a risvegliarlo), il padre Bruno e la sorella Michela.

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Virgilio.it

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