Morto Gianni Melidoni, star del Processo di Biscardi: la lite con Bearzot e la falsa etichetta di romanista
- Postato il 22 dicembre 2025
- Di Virgilio.it
- 4 Visualizzazioni
L’etichetta di filoromanista lo ha accompagnato per tutta la carriera ma Gianni Melidoni, decano dei giornalisti sportivi morto oggi a 90 anni, era nato a Napoli e tifava per gli azzurri come gli avevano tramandato il nonno e il papà, ufficiale di Marina, che gli aveva trasmesso anche l’amore per il mare. E’ vero però che nella sua carriera si è occupato soprattutto di Roma e di Lazio con tanti amici nelle due società avendo raccontato lo scudetto biancoceleste nel 1974 di Lenzini, Maestrelli e Chinaglia e quello giallorosso nel 1983 di Viola, Liedholm e Falcao.
La carriera di Melidoni
Dopo aver rischiato la vita a 6 anni per un problema al cervello risoltosi da solo, senza operazioni, Melidoni fu preso dal sacro fuoco del giornalismo: a 14 anni aveva già la penna in mano, A 17 anni ha raccontato il Giro della Calabria vinto da Bartali. A 19 i campionati Europei di nuoto. A vent’anni fu già assunto al Messaggero dove lo attendevano 23 stagioni da capo dello sport e 2 da vicedirettore, un prepensionamento amaro e mal digerito a 59 anni cui hanno fatto seguito 3 cause vinte e gli ultimi 2 anni di professione al Tempo.
Amava tanto il nuoto e fin quando è stato bene in salute non mancava mai di nuotare almeno 1 km al giorno, tutti i giorni una cinquantina di vasche.
Dalla moglie Mariolina ebbe sei figli (Antonio, Rita, Elisabetta, Laura, Elena e Giorgio) di cui una, Laura, morta prematuramente («Per il dolore svenni e per giorni rimasi imbambolato. La fede mi ha aiutato ad accettare quello che non dovrebbe mai accadere: sopravvivere a un figlio»). Ha seguito Europei, Mondiali e 11 Olimpiadi sempre per i giornali romani: «Ebbi offerte dal Corriere della Sera e dalla Gazzetta – rivelò al Corriere della Sera – Mi chiamò anche La Stampa , allo stadio di Torino spuntò uno striscione “Melidoni, se vieni ti uccidiamo”, perché ero visto come filo romanista. Ma Il Messaggero era un grande giornale e vivere a Roma una fortuna e un privilegio».
La lite con Bearzot
Memorabili le sue liti con Bearzot: l’Italia del “vecio” la criticava spesso, la chiamava l’Armata Brancazot. Il ct non gli piaceva perché non aveva convocato Roberto Pruzzo ai Mondiali dell’82 e lui, che ha sempre difeso le squadre del centrosud contro lo strapotere del Nord, non sopportava una Nazionale fatta solo da juventini o quasi.
Gli show al Processo di Biscardi
Fu inoltre uno dei protagonisti del successo del Processo di Aldo Biscardi, portando la sua ironia e la sua verve polemica a difesa delle squadre capitoline: «Aldo inventò un genere – disse al Corriere della Sera – con il confronto anche serrato tra giornalisti di Milano, Roma, Torino. Il calcio ha profonde radici socio-culturali, vive di campanilismo. Ma il nostro livello era alto. Non si sbagliavano i congiuntivi e partecipavano anche grandi personaggi, politici ed artisti come Carmelo Bene, che io portai al Messaggero. Poi in tv c’è stata una deriva e un imbarbarimento con teatrini sempre più volgari dove chi urla, insulta e la spara più grossa fa audience»