Morto Giancarlo Cito, ex sindaco di Taranto e deputato: il proto-populista tra condanne, tv e insulti
- Postato il 11 maggio 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un politico, uno che flirtava con i clan, sindaco e deputato, un telepredicatore e precursore. Quante sfaccettature ha avuto la vita di Giancarlo Cito, morto a 79 anni nella sua Taranto ormai lontano dalle luci della televisione, che gli aveva regalato la prima e l’ultima ribalta, e ridotto in un angolo nei salotti politici della città che aveva prima denunciato e poi guidato negli anni in cui aveva amministrato il capoluogo jonico per poi rappresentarlo in Parlamento. Vertiginose ascese e repentine cadute, una vita sulle montagne russe, fatta di eccessi verbali e non solo. Estremo, sempre. Fin dai tempi in cui, militante missino, Cito venne espulso dal partito per le sue posizioni radicali. Correva la fine degli Anni Settanta e il suo movimentismo politico era ancora agli albori.
La svolta arriva nel decennio successivo, quando il futuro sindaco fonda l’emittente televisiva Antenna Taranto 6 dalla quale si scaglia contro avversari politici, giudici e giornalisti. Quello schermo, dove alterna insulti e invettive, diventa una rampa di lancio. Nel 1989 fonda At6 Lega d’Azione Meridionale e dodici mesi dopo si candida per la prima volta alle elezioni. Tre anni più tardi, nel 1993, diventa sindaco di Taranto al ballottaggio capitalizzando l’assesuns mediatico. “Sulle macerie della Prima Repubblica, spazzata via da Tangentopoli, e grazie alla televisione che lui stesso aveva fondato e che usava come una pistola puntata in faccia ai suoi avversari, Cito aveva costruito un consenso popolare enorme che di lì a poco avrebbe cambiato, per sempre, la storia della politica in Italia”, ha ricordato dopo la sua dipartita Stefano Maria Bianchi, cronista tarantino che nel 1996 scrisse il libro Geometra Cito, sindaco di Taranto.
Prima di Silvio Berlusconi, Cito aveva saputo sfruttare la potenza della televisione. Un proto-populista – vide e usò pro domo sua anche il tema dell’inquinamento delle acque dei due mari tarantini – che arriverà a marciare contro la Lega Nord dalla periferica Taranto, candidandosi anche a sindaco di Roma e di Milano – dove arrivò quinto su 15 candidati – alzando il vessillo del meridionalismo. “Voglio tarantizzare Milano. Voglio che questa città diventi come Taranto, la Svizzera del Sud”, strepitò con fare gradasso quando decise di correre per Palazzo Marino mentre era già deputato. Eletto in Parlamento nel 1996, fu capace di raccogliere 33.960 preferenze, pari al 45,9% dei voti, nella sua città. Un capopopolo, ancora oggi ricordato come un buon amministratore alla faccia di un curriculum giudiziario corposo.
L’accusa più grave che gli piombò addosso fu quella di concorso esterno in associazione mafiosa per la quale venne condannato in via definitiva dalla Cassazione. Pagò con il carcere la vicinanza ai clan, testimoniata anche da quella presenza nella notte di Natale del 1989 nella casa dei fratelli Modeo, boss e flagello di Taranto. Non gli bastò difendersi sostenendo che si trovasse lì per un’intervista. Come non furono sufficienti i suoi ricorsi per evitare le condanne definitive per una vicenda legata allo stadio comunale e un’altra per concussione per aver chiesto tangenti sulla costruzione del porticciolo turistico. “È stato a tutti gli effetti il prototipo del populismo moderno, post Mussoliniano per intenderci, impastato di fascismo, revanscismo, machismo, risentimento proletario, disprezzo delle istituzioni e delle élite”, ha scritto ancora Bianchi nel giorno della sua morte aggiungendo provocatoriamente che “è arrivato il momento in cui la storia gli riconosca finalmente il giusto merito, quello di essere stato il padre spirituale e politico dei vari Berlusconi, Trump, Putin, per finire ai modelli minori come Salvini, Meloni e Bandecchi”.
Una volta pagati i debiti con la giustizia, Cito ha tentato nuove avventure in politica ed era tornato nelle radio e in tv, soprattutto negli anni della grande discussione sui vitalizi da negare ai condannati come lui. Si era fatto notare per i suoi consueti toni, senza tralasciare l’uso del dialetto: “Si lavi la bocca con l’acido muriatico, lei è una testa di c…”, urlò una volta su Rete 4 a chi gli ricordava i trascorsi nei tribunali. Un condottiero di provincia, abilissimo a usare il piccolo schermo come una catapulta nei salotti della gente fin quando la salute lo ha sorretto. Se n’è andato a due settimane dalle elezioni comunali nella sua Taranto, le prime in cui non avrà in qualche modo voce negli ultimi 35 anni. Nella corsa a sindaco c’è comunque suo figlio Mario, l’ultima appendice del caudillo alla tarantina.
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