Missili iraniani e Iron Dome: quale rischio per l’Italia?

  • Postato il 17 giugno 2025
  • Di Panorama
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C’è una domanda che molti italiani si stanno facendo: quanto siamo al sicuro dai lanci dei missili iraniani? La prima considerazione è perché il regime di Teheran dovrebbe mai prendersela con l’Italia, nazione che ha sempre cercato il dialogo con il regime teocratico, tuttavia una minaccia è certamente rappresentata dalla presenza sul nostro territorio di basi militari nelle quali ci sono forze statunitensi. Perché se da un lato la diplomazia di Washington si è chiamata fuori dalle azioni israeliane, dall’altro è evidente che quanto le forze IDF stiano facendo sull’Iran implica l’utilizzo di un numero di rifornitori aerei che Israele non ha, e quindi si ha la certezza che un aiuto dal mondo anglosassone lo stiano ricevendo. Seconda osservazione: se è vero che sono state lanciate serie di 150 tra missili e droni verso le città israeliane e che di questo numero soltanto una decina è riuscito a passare, allora la protezione di Iron Dome può dirsi efficace. Se invece il numero dei lanci fosse gonfiato, ci sarebbe da preoccuparsi innanzi tutto per Israele. E siccome noi italiani – almeno per ora – non disponiamo di uno Iron Dome nazionale, un pensiero è certamente giustificato.

I missili balistici erano, e molto probabilmente sono ancora, il mezzo più potente di Teheran per colpire Israele e altre nazioni. Raggiungere Israele dall’Iran richiede missili con gittata superiore a 1.000 km, noti anche come missili balistici a medio raggio (Mrbm) e la Repubblica Islamica ne possiede un’ampia varietà. Tra questi, missili a propellente liquido basati su collaborazioni con la Corea del Nord, come il Ghadr e il Khorramshahr, ma anche missili balistici a propellente solido avanzati. La differenza sta nel fatto che quelli con propellente liquido hanno necessità di una lunga preparazione prima del lancio, tempo che il nemico può sfruttare. Diversamente, quelli con propellente solido si possono armare e lanciare in pochi minuti, e questo li rende più pericolosi. Alcuni di questi missili, come il Kheibar Shekan, sono dotati di sistemi di manovra con alette di controllo e di navigazione satellitare per aumentarne la precisio0ne una volta che si trovano all’interno dell’atmosfera. L’Iran afferma di aver sviluppato una variante del Kheibar Shekan, chiamata Fattah in grado di percorrere traiettorie ipersoniche attraverso l’atmosfera, il che ne renderebbe più difficile l’intercettazione. Oltre a missili balistici a medio raggio l’Iran dispone di un vasto arsenale di missili balistici a corto raggio (Srbm), con gittata compresa tra 300 e 1.000 km. Alcuni di questi, basati sugli Scud sovietici, utilizzano ancora propellente liquido, fatto che rende possibile capire se sia prossimo un lancio mediante osservazioni satellitari e ricognizioni, ma la maggior parte utilizza ormai propellente solido. E anche molti di questi sono dotati di alette di controllo e di sistemi di navigazione satellitare. Negli attacchi dello scorso anno, nonostante l’efficacia dimostrata da componenti di Iron Dome come i sistemi Arrow 2 e Arrow 3, senza l’aiuto dei radar di scoperta delle Marina Usa, Israele avrebbe certamente incassato molti più colpi. Dei circa venti modelli si missili a disposizione delle forze iraniane soltanto quattro hanno la gittata necessaria per raggiungere la Sicilia: gli Shejil da 1800 km di gittata e 600 kg di testata di guerra, gli Sheibar Shekan 2 da 1800 kg di testata ma dei quali non si conosce l’esatta disponibilità e i Gahd-F da 1600 km di gittata e 650 kg di carico bellico.

Nessuno potrebbe comunque raggiungere un obiettivo a nord di Roma, ma lambire la nostra Capitale sì. Per respingere eventuali attacchi sarebbe necessario usare missili intercettori dopo aver identificato la loro direzione e assegnato quale intercettore lanciare, ma a differenza di Israele, che ha ben poco tempo per farlo, la distanza tra Italia e Iran consentirebbe un margine temporale sufficiente per intervenire con le batterie Samp/T. Anche e soprattutto dal mare, con unità dislocate opportunamente nel Mediterraneo, dove da tenere d’occhio sono eventuali unità navali iraniane. Un altro capitolo dell’analisi che la nostra Difesa deve fare è capire quanti missili ha ancora l’Iran, quante postazioni di lancio e quanti lanciatori su ruote non sono ancora stati distrutti dalle IDF. Dopo il secondo attacco iraniano a Israele della scorsa primavera, le difese missilistiche israeliane sono state rafforzate dagli Stati Uniti, che hanno dispiegato un sistema di difesa missilistica Thaad, già usato da Israele per difendersi dagli attacchi Houthi, ma che Washington potrebbe decidere di posizionare anche a Sigonella come in altre postazioni sensibili. Sappiamo che per il trasporto, l’installazione e il lancio dei suoi missili, l’Iran utilizza principalmente camion commerciali e rimorchi trainati, e questo è apparso chiaro da recenti filmati di parate, esercitazioni e delle sue strutture sotterranee. I rimorchi sono spesso dotati di telai che consentono di coprire l’attrezzatura di lancio e il missile con un telo, camuffandoli di fatto da veicoli commerciali. Anche i lanciatori per missili più piccoli a corto raggio hanno coperture simili e i loro lanciatori possono essere camuffati da container. Ed è questo che rende oggi molto importante l’azione dell’Aviazione israeliana coordinata dagli agenti del Mossad presenti sul posto: svelare dove sono questi container e camion mentre i militari di Teheran li spostano continuamente disperdendo nell’ampio territorio le sue forze missilistiche.

Una volta che tali mezzi hanno lasciato le basi saranno difficili da identificare e tracciare, soprattutto i missili a propellente solido dai preparativi di lancio molto rapidi. E qui svolgono un ruolo fondamentale le osservazioni satellitari e quelle effettuate da vicino, rischiando gli equipaggi, mediante ricognitori aerei e agenti operativi. Ma date le distanze in gioco tra Israele e Iran, nonché il numero limitato di velivoli di rifornimento aria-aria delle IDF – secondo gli analisti sono aiutati da tanker statunitensi e inglesi – gli aerei israeliani possono restare nello spazio aereo iraniano per poco tempo. Diversa la situazione per gli Usa: il tipo di missili che potrebbe raggiungere basi americane nella regione è elevato, ma il regime di Teheran si guarderà bene dall’attaccare strutture Usa, almeno se non vuole subire una ritorsione distruttiva. Ecco perché tra satelliti, pattugliatori nel Mediterraneo e diplomazia, l’Italia affronta la situazione con un solo grande punto di contrasto con Teheran, peraltro condiviso con gli alleati della Nato: il fatto che non possa disporre di armi nucleari. E proprio perché nella Nato, qualsiasi attacco verso di noi comporterebbe comunque la reazione di Regno Unito e Stati Uniti.

Iron Dome, ecco perché può sbagliare

Lo Iron Dome, cupola di ferro, non è un sistema infallibile ma risulta tra i migliori mai realizzati. È costituito da un “sistema di sistemi”, ovvero unendo gli impianti e le postazioni di differenti tipi di missili antiaerei come Arrow-2, Arrow-3, David Sling, Thaad e di altri in futuro. Il suo punto nevralgico sono i computer che scelgono le priorità dei bersagli dopo averle acquisite dalla catena di radar che tracciano le traiettorie dei missili in arrivo. In alcuni casi, come con particolari traiettorie simili dei bersagli in arrivo, esso può fallire.

Ogni impianto per la difesa aerea deve rilevare la minaccia, decidere come neutralizzarla e quindi procedere. Lo può fare soltanto se i suoi componenti chiave funzionano: innanzi tutti servono i radar per rilevare, identificare e tracciare i missili in arrivo, ma la loro portata varia anche in funzione della posizione e dell’orografia del territorio. Il radar dell’Iron Dome, costruito dalla statunitense Raitheon, è efficace su distanze da 4 a 70 km. Una volta che un oggetto è stato rilevato viene valutato per determinare se esso costituisce una minaccia, e se così è il sistema di difesa ha al massimo un minuto per rispondere, stante che un missile percorre circa un chilometro al secondo.

A determinare la decisione è il centro di controllo che utilizza le informazioni radar in continuo aggiornamento per determinare la risposta ottimale per decidere da quale postazione lanciare gli intercettori e quanti lanciarne. Infine c’è l’intercettore stesso, che può dirigere verso la minaccia scegliendo di seguirne la scia di calore (infrarosso) oppure la riflessione radar.

Infine, l’intercettore utilizza una spoletta di prossimità attivata da un piccolo radar che esplode vicino al missile in arrivo. Oppure lo urta direttamente. Naturalmente se il numero di missili in arrivo è molto elevato, la necessità di assegnare delle priorità porta comunque a effettuare delle scelte, anche per una questione economica, in quanto un effettore di Iron Dome può costare anche 100.000 dollari e non avrebbe senso bruciarlo per colpire qualcosa che si schianterà in una zona disabitata o per nulla preziosa. Mentre un razzo – per esempio di Hamas – costa anche meno di mille dollari.

Altri limiti sono rappresentati da possibili effetti di riflessione delle onde radio utilizzate dai radar: con due tracce molto vicine tra loro è complesso stabilire quale delle sue seguire, possono verificarsi errori con l’intercettore che viene mandato su quella apparentemente più critica, giocoforza tralasciando l’altra. Di conseguenza, come la cronaca ci mostra, può capitare che un missile “buchi” l’Iron Dome.

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Panorama

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