Miliardi del Qatar e rigurgiti di antisemitismo: il paradosso della Sardegna
- Postato il 15 settembre 2025
- Di Panorama
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La Sardegna è diventata negli ultimi anni uno dei terreni privilegiati della strategia di investimento del Qatar nel Mediterraneo. Con la Costa Smeralda al centro di un piano miliardario e con l’apertura del Mater Olbia Hospital, Doha ha progressivamente consolidato la propria presenza sull’isola, trasformandola in una vetrina del suo soft power economico e politico. Al glamour dei resort e all’eccellenza sanitaria, tuttavia, si affianca un fenomeno meno scintillante: il riemergere di un antisemitismo che, spesso sotto forma di protesta politica contro Israele, sta trovando nuova linfa anche in Sardegna. Un doppio volto che racconta molto più di un’isola: è il riflesso delle contraddizioni di un’Europa che accoglie a braccia aperte i miliardi del Golfo e allo stesso tempo fatica a riconoscere e contrastare i rigurgiti di odio contro le comunità ebraiche. Gli investimenti qatarioti sono imponenti. Attraverso la Smeralda Holding, il Qatar Investment Authority controlla i nomi più prestigiosi dell’ospitalità di lusso in Gallura: il Cala di Volpe, il Romazzino, il Pitrizza e l’Hotel Cervo. A questi si aggiungono la Marina di Porto Cervo, il Pevero Golf Club, decine di negozi, ristoranti, appartamenti e migliaia di ettari di terreni. Nel 2024 il fatturato di questo impero ha superato i 168 milioni di euro, con prospettive di crescita ancora più ambiziose grazie a piani di ristrutturazione e rilancio che prevedono trasformazioni di hotel storici e l’apertura di nuove strutture. Parallelamente, la Qatar Foundation Endowment ha investito nella sanità attraverso il Mater Olbia Hospital, sviluppato in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma e diventato in pochi anni un centro di riferimento per la Gallura e non solo. ll presidente della Regione, Alessandra Todde, ha incontrato più volte gli emissari dell’emiro Tamim al-Thani, parlando di «rilancio turistico», di nuove sinergie in campo sanitario e di opportunità anche nei settori dei trasporti e dell’energia. Una linea che intende valorizzare la Sardegna come piattaforma privilegiata per l’espansione del Qatar in Europa, con l’obiettivo dichiarato di mantenere intatto il paesaggio e di evitare «colate di cemento».
Eppure, dietro la facciata patinata di questa narrazione, l’isola conosce una realtà molto diversa. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati episodi che mostrano la crescita di un antisemitismo latente, spesso legato alla guerra a Gaza ma capace di andare ben oltre la critica politica al governo israeliano. Nel settembre 2024, a Cagliari, il Museo Ebraico è stato imbrattato con vernice rossa e con scritte come «A fora Sionistas», proprio nel giorno della Giornata Europea della Cultura Ebraica. L’episodio, condannato dalle associazioni locali come un «grave attentato antisemita», ha mostrato quanto sia fragile il tessuto della memoria nell’isola. Nell’estate del 2025, la Gallura è stata teatro di contestazioni contro l’arrivo di turisti israeliani, descritti dai manifestanti come soldati dell’Idf in vacanza. A Santa Teresa di Gallura si sono svolte manifestazioni con striscioni recanti la scritta «Non siete i benvenuti», accompagnate da tamburi e cori davanti ai resort. Poco dopo, la roccia con l’iscrizione “Costa Smeralda” è stata vandalizzata con rivoli di vernice rossa per evocare il sangue, mentre all’aeroporto di Olbia sit-in organizzati da attivisti hanno protestato contro i voli provenienti da Tel Aviv. Questi episodi non rappresentano soltanto la reazione di parte della società civile alla guerra in Medio Oriente, ma segnano il passaggio da una critica politica a una forma di ostilità generalizzata verso cittadini israeliani tout court. È un confine sottile ma decisivo: contestare le scelte del governo di Gerusalemme è legittimo, discriminare persone sulla base della loro nazionalità o appartenenza religiosa significa invece riproporre schemi di odio antico che l’Europa avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle.
Il paradosso sardo emerge proprio da questa coincidenza temporale. Da un lato, l’isola spalanca le porte a un Paese come il Qatar che prove alla mano è accusato da anni di sostenere Hamas e di giocare un ambiguo doppio ruolo sulla scena mediorientale. Dall’altro, una parte della società isolana scivola in un antisemitismo diffuso che prende di mira gli israeliani, trasformandoli in bersaglio di proteste e vandalismi. È una dicotomia che mette in evidenza il peso crescente del soft power qatariota, capace di conquistare le istituzioni e di influenzare l’economia locale, e la debolezza di una società che rischia di confondere la solidarietà politica con l’intolleranza religiosa. La Sardegna si trova così in una posizione emblematica. È diventata la vetrina di un Qatar che investe miliardi per consolidare la propria influenza, ma allo stesso tempo è attraversata da manifestazioni e atti che rivelano una persistente fragilità culturale. Le stesse piazze che applaudono gli emissari di Doha si trasformano in spazi di ostilità verso i turisti israeliani, e le stesse istituzioni che celebrano il boom del lusso non sembrano reagire con la stessa forza di fronte a scritte e aggressioni simboliche contro la comunità ebraica. Il rischio, evidente, è che l’isola diventi la cartolina più fedele di un’Europa smarrita, capace di piegarsi al potere del denaro ma incapace di proteggere la memoria e di contrastare i rigurgiti di antisemitismo. In questo cortocircuito, la Sardegna non è soltanto vittima o spettatrice: è il laboratorio di un paradosso che racconta la nostra epoca, fatta di investimenti miliardari e di pregiudizi mai davvero sepolti.