Milei e Meloni. La destra italiana è molto diversa dal liberista argentino
- Postato il 17 dicembre 2024
- Di Il Foglio
- 2 Visualizzazioni
Milei e Meloni. La destra italiana è molto diversa dal liberista argentino
Dopo la partecipazione come ospite d’onore ad Atreju, dove ha enunciato il suo decalogo politico che aveva già presentato giorni fa durante il vertice delle destre mondiali al Cpac, a sinistra è scattato il timore che il governo di Giorgia Meloni si voglia ispirare all’anarco-capitalista argentino Javier Milei. Pare che qualcuno se ne sia convinto pure a destra. Ma sia chi è preoccupato e sia chi è fiducioso farebbero meglio a moderare sentimenti e aspettative.
La destra italiana non c’entra molto con Milei. Anzi, per molti versi rappresenta l’esatto contrario. Certo, il popolo di Fratelli d’Italia si è entusiasmato e si è spellato le mani durante il discorso del presidente dell’Argentina, ma quasi come un riflesso condizionato. Il pubblico di Atreju si esaltava ogni volta che Milei attaccava la sinistra. In molto casi applaudiva come si fa con una rockstar straniera, perché piacciono lo stile e la musica, anche quando non si capiscono i testi. Non si comprenderebbe altrimenti perché una classe dirigente composta da politici di professione batteva le mani persino quando Milei enunciava il comandamento in cui attacca i “politici”, ovvero le prime file della platea, da lui sempre descritti come “la casta” (à la Beppe Grillo) che estorce ricchezza dalla società. Ma è soprattutto sui contenuti che la distanza è siderale.
Milei ha vinto le elezioni promettendo agli argentini, sfiniti dall’inflazione, di chiudere la banca centrale e dollarizzare l’economia. La rinuncia totale della sovranità monetaria. Per ora non è arrivato a tanto, ma ha schiantato l’inflazione attraverso un forte aggiustamento fiscale e la fine della monetizzazione del deficit, separando il Tesoro dalla Banca centrale. Per almeno un decennio, la destra italiana – dalla Lega a FdI – ha proposto agli italiani esattamente il percorso opposto: l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira, per poter spendere in deficit stampando denaro. Il ritorno all’inflazione a doppia cifra degli anni Settanta-Ottanta. Coerentemente con questa logica, a destra il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia – ad opera di Ciampi e Andreatta – viene descritto come la fine della “sovranità monetaria” (non dell’inflazione).
È vero che, in linea generale, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta tenendo una politica di bilancio prudente. Ma è più una necessità che una convinzione. Se Milei ha fatto autonomamente un aggiustamento fiscale più duro di quanto richiesto dal Fmi, il governo italiano dopo anni di deficit doppio rispetto alla media dell’Eurozona ha trattato fino all’ultimo a Bruxelles per un nuovo Patto di stabilità che consentisse all’Italia di fare quanto più deficit possibile. Per non parlare del commercio internazionale. Milei ha appena firmato con Ursula Von der Leyen l’accordo di libero scambio tra Europa e Mercosur: il governo Meloni si è già espresso contro e il voto dell’Italia è determinante per bloccare l’accordo. D’altronde la destra italiana, istintivamente idiosincratica rispetto alla globalizzazione, era anche contraria al Ceta, l’accordo col Canada, che ha funzionato bene.
C’è poi il capitolo delle politiche di offerta, quelle retoricamente care a Giorgetti. Nel governo Milei il simbolo delle politiche di stimolo dell’economia è il ministro della Desregulación Federico Sturzenegger, un economista formatosi al Mit di Boston con Rudi Dornbusch e Paul Krugman, che sta disboscando la burocrazia in maniera impressionante. Ogni giorno un decreto che abolisce un divieto, una liberalizzazione che apre l’economia: affitti, taxi, trasporti, mercato aereo, importazioni, commercio al dettaglio, licenze... In media, secondo il Cato Institute, il governo Milei ha approvato 1,84 deregulation al giorno, inclusi i fine settimana: in totale, Sturzenegger ha eliminato 331 regolamenti e ne ha modificati 341 ampliando la concorrenza. Su questo fronte, l’uomo chiave del governo Meloni è il ministro delle Imprese Adolfo Urso, il teorico dello “Stato stratega”, che in un paio d’anni si è distinto per i tentativi di pianificazione e controllo dei prezzi per fermare l’inflazione: il cartello alla pompa di benzina, il “carrello tricolore” al supermercato (cosa che in Argentina che ricorda la terrificante iniziativa Precios Cuidados dei peronisti), il bollino per i risotranti con il menù bambino, il tetto al prezzo dei voli aerei. Ora, nella legge sulla Concorrenza, è stata introdotta una nuova “etichetta” da apporre obbligatoriamente per sei mesi sui prodotti che hanno ridotto la quantità allo scopo di contrastare la shrinkflation.
L’unica liberalizzazione fatta da Urso è quella che riguarda i taxi, anche se a distanza di un anno non c’è una sola licenza in più. Queste sono le riforme con cui il governo Meloni ha stimolato il mercato e la concorrenza: tetti, controlli, bolli e bollini. Tutte cose per cui Milei e Sturzenegger metterebbero mano alla motosega.
Continua a leggere...