Milano e la colpa di scegliersi il futuro

  • Postato il 7 marzo 2025
  • Notizie
  • Di Quotidiano del Sud
  • 3 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
Milano e la colpa di scegliersi il futuro

Share

Il braccio di ferro tra pm e politica si trascina da due anni e tiene nel limbo amministrativo e produttivo la città più vitale del Paese


«Impedire che trent’anni di urbanistica siano buttati nel cesso»: eccola la prova di colpevolezza. La esibisce l’ordinanza del gip che ha disposto l’arresto dell’ex direttore dello sportello unico per l’edilizia del Comune di Milano, Giovanni Oggioni, intercettato nei mesi scorsi. Una colpa grave, a giudicare dal clamore mediatico del blitz della procura e dagli effetti a orologeria che produce: lo stop all’iter legislativo della sanatoria intitolata «Salva Milano» e la costituzione di parte civile del Comune contro i suoi tecnici indagati.

È l’esito finale di un braccio di ferro tra pm e politica che si trascina da due anni e che tiene nel limbo amministrativo e produttivo la città più vitale del Paese. Ma è anche un rovesciamento del racconto pubblico per mano giudiziaria. Che, in una democrazia dove politica e comunicazione coincidono, vuol dire sconfinamento ed egemonia di un potere, quello inquirente, sugli altri, quello legislativo e quello amministrativo. Non è cosa da poco. Vediamo perché.


Negli ultimi due anni la procura di Milano ha sequestrato centocinquanta cantieri e aperto 14 fascicoli di indagine su un piano di ristrutturazioni urbane, dietro le quali i pm intravedono l’ombra di nuove costruzioni simulate. Decine di amministratori, costruttori e progettisti sono accusati di aver violato le norme urbanistiche e di aver autorizzato importanti progetti di riqualificazione attraverso convenzioni con i privati e una semplice Scia, cioè una dichiarazione di inizio lavori, quando invece sarebbe stato necessario redigere e approvare specifici piani particolareggiati e corrispondere i relativi oneri. In questo modo al posto di vecchi manufatti urbani sarebbero stati realizzati nello stesso spazio moderni edifici e palazzi cresciuti in verticale, con un aumento delle cubature e un indebito vantaggio fiscale.

Il Comune di Milano ha da subito contestato questa interpretazione della legge urbanistica, sostenendo la correttezza delle procedure adottate e rivendicando la potestà, tutta politica, di definire i contorni di una riqualificazione urbana che sceglie di verticalizzare la città, anziché dilatare la cementificazione del territorio.

Con queste ragioni Milano ha chiesto alla politica nazionale di farsi carico di una norma di interpretazione autentica, che legittimasse l’azione amministrativa e facesse scudo ai dirigenti e tecnici coinvolti dall’indagine. I quali hanno ovviamente reagito bloccando qualunque attività amministrativa e paralizzando lo sviluppo di una grande città.


La norma, condivisa da giuristi e tecnici, è stata approvata alla Camera da una maggioranza estesa al Pd, salvo poi arenarsi al Senato di fronte alla pervicacia dell’inchiesta e alla propaganda del giustizialismo che spirava dalla sinistra radicale. Replicando un copione già visto troppe volte in questi anni, il Pd si è allineato alle posizioni intransigenti dei Cinquestelle, nel timore di essere scavalcato a sinistra, e i fratelli d’Italia si sono chiesti chi gliela facesse fare a togliere le castagne dal fuoco ai «compagni» rivali.


Il dibattito sul «Salva Milano» si è trascinato stancamente tra appelli inascoltati di chi invocava uno scatto parlamentare e abiure moralistiche di chi gridava allo scandalo, plaudendo all’azione dei magistrati. Così siamo giunti alla settimana in cui la partita si è chiusa. Lunedì sul Foglio il sindaco di Milano ha rilanciato le ragioni della sanatoria, ma soprattutto ha invocato la nascita di una nuova forza riformista per riequilibrare lo slittamento a sinistra del Pd. Lo stesso giorno Conte ha chiamato a convegno la sinistra radicale e giudiziaria contro l’approvazione del «Salva Milano», ricalendarizzato ieri alla Camera. E l’altra mattina sono scattati puntuali i primi arresti della procura, a segnare il salto di qualità dell’inchiesta. Con l’effetto di fermare tutto e indurre lo stesso Sala ad alzare bandiera bianca.


Non è però tanto la perfetta tempistica dell’azione penale a destare sgomento. Né l’impalcatura accusatoria che ipotizza forme atipiche di corruzione in assenza di provati scambi di prestazioni illecite. Ma piuttosto è surreale il racconto probatorio, che criminalizza i contatti politici tra parlamentari e tecnici amministrativi, finalizzati a definire i profili legislativi della sanatoria «Salva Milano». Il gip nell’ordinanza censura i colloqui in cui gli intercettati discutono su come legittimare l’azione degli amministratori coinvolti, rispondendo peraltro a una precisa volontà politica. Che diventa, nel racconto criminogeno dell’ordinanza cautelare, il tentativo di sottrarsi all’indagine della procura.
Vuol dire dare una valenza penalmente rilevante all’attività legislativa in quanto tale, cadendo nella trappola morale di utilizzare frammenti di intercettazioni che, piuttosto che provare la colpevolezza degli indagati, provano il pregiudizio degli inquirenti. Come quelli che vedono i progettisti dire «non possiamo gettare trent’anni di urbanistica nel cesso». Perché nel cesso per intanto è finita la separazione dei poteri. E poi forse, chissà, anche il futuro di una grande città.

Share

Il Quotidiano del Sud.
Milano e la colpa di scegliersi il futuro

Autore
Quotidiano del Sud

Potrebbero anche piacerti