Migranti, la Consulta sul decreto Piantedosi: fermo navi legittimo. Ma non a costo dei diritti umani

  • Postato il 8 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La Corte Costituzionale si è pronunciata sul ricorso presentato dal Tribunale di Brindisi in merito al fermo amministrativo delle navi civili che operano soccorsi in mare, quello previsto dal decreto del 21 ottobre 2020, n. 130, il cosiddetto decreto Piantedosi, che sul punto viene definito “ irragionevole né sproporzionata. Il caso era sorto dal ricorso della ong Sos Méditerranée contro un provvedimento di fermo della nave Ocean Viking. La nave era stata sottoposta a sequestro perché avrebbe creato “situazioni di pericolo” non ottemperato, in violazione del decreto, alle “indicazioni fornite dalla autorità competente per il coordinamento delle operazioni di soccorso”. Cioè la guardia costiera libica, le cui informazioni avevano portato il governo italiano a ritenere “troppi” i salvataggi effettuati dalla ong durante la stessa missione: altra violazione sanzionata dal decreto.

La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni sollevate in riferimento al principio di determinatezza della legge (articolo 25 della Costituzione) e così le censure relative alla violazione degli articoli 10 e 117 sugli obblighi internazionali. La Corte ha affermato il “carattere punitivo” della misura del fermo, ritenuto che la “condotta sanzionata è descritta in modo puntuale ed è la legge a tracciare una chiara linea di confine tra lecito e illecito, evitando l’arbitrio del giudice e garantendo la conoscibilità del precetto”. La Consulta ha respinto anche i dubbi di legittimità costituzionale sull’obbligatoria applicazione del fermo della nave, dichiarando che la misura punitiva “non è irragionevole né sproporzionata”. Essa, infatti, sanziona “quelle trasgressioni che pregiudichino la stessa finalità di salvaguardia della vita umana in mare, insita nella Convenzione SAR, e si rivelino idonee a compromettere, in carenza di motivi legittimi, il sistema di cooperazione che tale Convenzione ha istituito”.

La normativa italiana, hanno infatti chiarito i giudici, “è legata indissolubilmente alla Convenzione SAR (Search and Rescue, ndr), che, a sua volta, si inserisce a pieno titolo in un complesso di regole improntate all’obiettivo della salvaguardia della vita in mare”. Dunque all’obbligo di soccorso. A tal proposito, aggiunge la Corte, fondamentale è l’indicazione di un porto sicuro, che “salvaguarda il rispetto della vita, dei bisogni essenziali, della libertà, dei diritti assoluti (il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti)”. Di conseguenza, “non è vincolante, pertanto, un ordine che conduca a violare il primario obbligo di salvataggio della vita umana e che sia idoneo a metterla a repentaglio e non ne può essere sanzionata l’inosservanza”. Questo principio include il divieto di respingimento e di tortura, applicabile anche in acque internazionali. L’inosservanza delle “richieste di informazione” e delle “indicazioni delle autorità”, precisa la corte in un passaggio cruciale, può essere punita “solo quando riguardi atti legalmente dati e conformi alla disciplina internazionale”.

Il punto è fondamentale proprio nel contesto dei soccorsi nel Mediterraneo centrale, dove le ong si trovano spesso a fronteggiare ordini provenienti dalla guardia costiera libica. Che anche a detta di magistrati italiani non è in grado di garantire porti sicuri di sbarco, né il rispetto dei diritti umani fondamentali dei migranti, come i rapporti delle Nazioni Unite hanno stabilito. Per non parlare delle accuse di infiltrazioni criminali nella guardia costiera stessa. Gli ordini che implicherebbero la consegna e dunque il respingimento di migranti verso luoghi non sicuri, in violazione del principio di non-refoulement sancito da convenzioni internazionali come la Convenzione di Ginevra e la CEDU, possono essere considerati “legalmente dati” ai sensi del diritto internazionale cogente? La sentenza della Consulta sembra tracciare una linea chiara: l’obbligo di obbedienza cessa laddove l’esecuzione di un ordine comporti la violazione di diritti umani primari e l’esposizione a rischi per la vita e la dignità delle persone soccorse. Interpretazione che porrebbe un limite invalicabile alla discrezionalità delle autorità, sia nazionali che estere, nel coordinamento dei soccorsi in mare.

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Il Fatto Quotidiano

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