“Mia nonna ha 91 anni e cerca ancora sua madre”: il libro di Melania Petriello dà voce ai figli dell’anonimato e alle loro battaglie

  • Postato il 25 giugno 2025
  • Libri E Arte
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Melania Petriello è una scrittrice, giornalista e autrice tv che sa unire al rigore dell’analisi giornalistica la forza evocativa della parola e della scrittura. Il suo ultimo libro, “La strada di casa”, pubblicato da Round Robin, è un reportage sulle identità perdute, ma anche un racconto appassionante – quasi un romanzo – capace di trasformare il dato giornalistico in storie emozionanti e profonde: quelle dei figli adottivi alla ricerca della loro origine biologica. Sono mezzo milione in Italia.
Con uno stile raffinato e incisivo, Melania racconta vite vissute spalancando porte verso le esperienze più intime dei suoi protagonisti, rendendo al lettore l’urgenza di un tema che riguarda l’identità personale e collettiva. Questa sua abilità nell’alternare analisi e narrazione le consente di mettere insieme, in un viaggio empatico e coinvolgente, la necessità dell’anonimato materno e il diritto alla consapevolezza delle proprie origini dei figli adottati.

Melania, come è nato questo viaggio alla ricerca delle radici?
Il viaggio è nato dal bisogno di raccontare i figli che cercano la propria origine biologica, cioè la madre che li ha partoriti in anonimato. In Italia, questa possibilità è prevista e tutelata da una legge fondamentale, frutto di importanti battaglie femministe. Grazie a essa, una donna può partorire senza essere nominata nei documenti ufficiali e suo figlio viene dichiarato adottabile.

Le conseguenze?
Nel libro ho cercato di analizzare le implicazioni di questo diritto attraverso le storie di chi, una volta cresciuto, vuole conoscere le proprie origini. È un viaggio sentimentale, etico, politico, ma anche giuridico. Il punto centrale è il rispetto di due diritti apparentemente inconciliabili: da un lato, la tutela dell’anonimato materno, dall’altro, il diritto alla conoscenza delle origini biologiche, riconosciuto come fondamentale dalla Corte Costituzionale e dai diritti umani.
Nel 1983, una legge impediva ai figli di contattare la madre biologica per chiederle di rimuovere l’oblio. La Corte Costituzionale ha poi dichiarato incostituzionale questa norma, permettendo agli interessati di avanzare un interpello attraverso il tribunale. Tuttavia, la questione resta intrappolata in complessi iter burocratici e legislativi, rendendo ancora oggi difficile per molte persone ottenere informazioni sulle proprie origini.

Tu però non sei una figlia adottata né un genitore adottivo.
Secondo i dati del Comitato per la ricerca delle origini, parliamo di mezzo milione di persone, probabilmente sottostimato. Io non sono né una figlia adottata né una madre adottiva, quindi ho avuto una posizione di osservatrice privilegiata. Queste storie hanno bussato alla mia porta negli anni, ma spesso finivano nel vortice del quotidiano.
Ho lavorato per anni nella cronaca politica e giudiziaria, e queste vicende avevano bisogno di un tempo di sedimentazione. Quando l’editore mi ha chiesto di pensare a un libro, ho capito che volevo approfondire proprio queste storie. Ho ripreso discorsi lasciati in sospeso, incontrato nuove persone, e più mi avvicinavo a loro, più comprendevo quanto questa ricerca, spesso destinata alla sconfitta, fosse profondamente legata ai temi dell’identità, della maternità, del corpo delle donne, delle famiglie di sangue e d’anima.

Il titolo del libro è “La strada di casa”. Ma cos’è, per te, la casa?
Il titolo è stata la prima cosa che mi è venuta in mente e, nonostante vari cambiamenti nel libro, dieci giorni prima della stampa ho confermato questa scelta. Le parole chiave sono “strada” e “casa”.
Strada perché ogni ricerca è un percorso, fatto di inciampi, smarrimenti e riscoperta. Casa perché non è mai solo un luogo, ma un insieme di persone. I figli che ho raccontato non cercavano un’altra madre, ma un tassello mancante della loro identità.

Hai dedicato un capitolo a te stessa e mi ha colpito una tua frase che contiene un ossimoro tratto dalla terminologia musicale: «Per il mio lavoro, come per l’amore, conosco un solo tempo, andante con fuoco».
«Andante con fuoco» è il mio “personale” tempo musicale preferito, ma anche il mio modo di vivere. Sono appassionata, ho bisogno di andare a fondo nelle cose. La memoria familiare è fondamentale: il modo in cui ricordiamo le storie ascoltate da bambini, le parole delle nonne e delle zie, forma la nostra identità.
Io vengo da una famiglia del sud, dove il racconto orale era potente. Mi hanno sempre affascinato le storie degli anziani, ripetute ogni volta con sfumature diverse. Crescere circondata da questi racconti mi ha fatto comprendere quanto sia un privilegio sapere da dove veniamo.

Scrivi che una domanda ricorrente nelle comunità soprattutto del sud è «A chi appartieni?».
Esatto. Nel paese di mio nonno mi chiedevano sempre «A chi appartieni?» per sapere chi fossero i miei genitori. A volte è un privilegio, altre uno stigma. Quella domanda racconta più di un’identità: descrive una storia, un legame, una memoria.

La tua ricerca di appartenenza e di radici mi ha fatto pensare a Guccini: «La nostra patria è dove sono seppelliti i nostri morti». Questo legame è centrale anche nel tuo libro, e mi ha colpito la storia di Anna e Rossella.
Anna è la Presidente del Comitato per le Origini Biologiche ed è la storia regina perché racchiude tutti gli elementi di questa battaglia: disguido, paura, dolore, ferita. Rossella, invece, è l’unica madre che ho incontrato che ha partorito in anonimato. Entrambe hanno trasformato il loro dolore in una battaglia collettiva.

Racconti di una tua amica e di sua nonna novantunenne figlia adottata che dice: «Tu sei giornalista, trovi un sacco di cose. Perché non trovi mia mamma?» Cosa hai trovato tu con questa ricerca?
Ho trovato un’umanità sconfinata, una straordinaria capacità di coniugare i bisogni personali con un concetto universale di amore e identità. La storia della nonna novantenne che si scontra con il rifiuto degli istituti dimostra quanto questa battaglia sia ancora irrisolta.

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Il Fatto Quotidiano

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