Meno stadi, più medici, salari e dignità. Le ragioni della protesta della GenZ marocchina
- Postato il 3 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Pugni alzati. Bandiere al vento. Slogan urlati a squarciagola: “Libertà, dignità, giustizia sociale”. Dalle piazze di Rabat ai boulevard di Casablanca, fino ai vicoli di Marrakesh e Agadir, la Generazione Z marocchina ha riempito le strade nella più grande mobilitazione dai tempi delle Primavere arabe. Nessun leader, nessun partito, nessun sindacato: il cuore della protesta è online, nato il 18 settembre su un server Discord chiamato GenZ 212, che in pochi giorni ha superato i 120mila iscritti.
Le manifestazioni non sono un fulmine a ciel sereno. La scintilla urbana si innesta su un malcontento che ribolle da mesi nelle aree più marginali del Paese. Già quest’estate, nei villaggi della provincia amazigh di Azilal, la gente era scesa in strada contro lo squilibrio nello sviluppo tra i grandi centri e le montagne. Qui il disagio non è solo sociale, ma affonda le radici in una marginalizzazione storica: strade dissestate, servizi sanitari assenti e acqua potabile scarsa. “Pensano solo all’immagine internazionale, non ai nostri bisogni quotidiani”, accusano gli abitanti, chiedendo medici stabili, riforme edilizie più eque e accesso garantito all’acqua.
Le prime fiammate di protesta si erano già viste a inizio anno, anche nelle zone colpite dal devastante terremoto del 2023. Poi, ad agosto, la tragedia all’ospedale Hassan-II di Agadir — dove otto donne incinta hanno perso la vita durante il parto — ha fatto esplodere la rabbia in tutto il Paese. Ospedali fatiscenti, meno di otto medici ogni 10mila abitanti (contro i 25 raccomandati dall’OMS), attese interminabili per un intervento. Nel frattempo, il governo stanzia miliardi per lo sport: 890 milioni per ristrutturare sei stadi e altri 469 per costruirne uno nuovo a Casablanca, in vista della Coppa d’Africa 2025 e dei Mondiali FIFA 2030. Lo slogan diventa virale sui social: “Gli stadi ci sono, ma dove sono gli ospedali?”
Oggi i volti della mobilitazione sono due: GenZ 212 e Morocco Youth Voices, collettivi nati online e senza bandiere politiche. Non più sindacati o partiti a guidare i cortei, ma TikTok, Discord e Instagram. “Si tratta di un’organizzazione decentralizzata, senza leader e fluida, o meglio, di una rete”, spiega Mohammed Masbah, direttore del Moroccan Institute for Policy Analysis. Una struttura che ricorda, in versione marocchina, le mobilitazioni giovanili esplose di recente in Nepal, Filippine e Madagascar.
Dietro la scintilla sanitaria si nasconde un quadro sociale devastante. La disoccupazione giovanile tocca il 36,7%, tra i laureati è al 19%, tra le donne al 19,4%. Più di un quarto dei giovani tra i 15 e i 24 anni è NEET, escluso da scuola e lavoro, e nelle aree urbane si arriva al 48%. Chi lavora, nel 70% dei casi, non ha un contratto stabile: solo il 6,5% ha un impiego a tempo indeterminato. I salari medi si fermano a 300 euro e gli affitti nelle città divorano metà dello stipendio. Una generazione sospesa.
Martedì 1 ottobre, la protesta ha cambiato volto. A Inzegane, vicino ad Agadir, gruppi di giovani hanno lanciato pietre contro la polizia e incendiato arredi urbani. Le forze dell’ordine hanno risposto con cariche e arresti di massa: oltre 400 persone fermate in quattro giorni, tra cui decine di minorenni. Il bilancio: 263 agenti e 23 civili feriti. Testimoni raccontano di operazioni mirate di agenti in borghese, con ragazzi prelevati direttamente dalle strade e dai bar.
Nel mirino dei manifestanti c’è il premier Aziz Akhannouch, miliardario e leader del partito liberale RNI, accusato di aver fallito le promesse di lavoro: “Aveva garantito un milione di posti in cinque anni, ma la disoccupazione resta altissima”. Anche il re Mohammed VI è sotto accusa. Nel 2011 aveva disinnescato la Primavera marocchina con la nuova Costituzione, ma oggi il suo silenzio è percepito come complicità. I giovani non chiedono privilegi, ma dignità: scuole funzionanti, ospedali accessibili, lavoro stabile e stop alla corruzione. Con il 30% della popolazione sotto i 30 anni, la frattura con le istituzioni è evidente. Sempre meno ragazzi votano, sempre più scendono in piazza. I partiti di opposizione chiedono dialogo, ma chi protesta non si sente rappresentato da loro .
Il Paese vive una spaccatura netta tra priorità percepite come sbagliate e bisogni ignorati. Mentre milioni di cittadini sopravvivono con salari minimi, il governo continua a investire miliardi negli stadi: solo per la Coppa d’Africa e il nuovo Grand Stade di Casablanca sono stati stanziati quasi 1,3 miliardi di euro, alimentando la percezione di un Marocco basato sull’apparenza esterna, come denunciano i giovani. Intanto, la forza simbolica e mediatica della Gen Z è inarrestabile: video dei cortei, cori e slogan rimbalzano sui social, catturando l’attenzione internazionale. “Il popolo vuole porre fine alla corruzione!”, gridano in coro in un video virale su TikTok. Con le elezioni legislative previste nel 2026, il governo arranca. Per ora risponde con la repressione, ma la sfida è politica e sociale: affrontare una generazione cresciuta online, abituata a mobilitarsi senza leader e determinata a non accettare più compromessi. La vera incognita è una sola: quanto a lungo il re Mohammed VI potrà restare in silenzio davanti a un Paese in rivolta?
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