Memoria rossa

  • Postato il 3 dicembre 2025
  • Di Il Foglio
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Memoria rossa

Può, un paese, riuscire a cancellare una parte della sua storia recente? Come è possibile che un regime costringa i suoi cittadini a dimenticare i tragici avvenimenti che ne hanno segnato l’esistenza? Il benessere economico è in grado di indurre le vittime di persecuzioni e violenze a dimenticare le sofferenze patite? Sono queste le domande alle quali ha cercato di rispondere la giornalista britannica Tania Branigan che, avendo vissuto in Cina per sette anni in qualità di corrispondente del Guardian, ha preso  in esame  un tema complesso: l’eredità della cosiddetta Rivoluzione culturale, il movimento che, tra il 1966 e il 1976, giunse a sradicare l’intera “vecchia cultura” in nome del fanatismo maoista. Si è trattato di un decennio durante il quale l’unica verità fu appunto costituita dal pensiero di Mao Zedong: una dottrina mutevole, incerta, criptica che intendeva regolare ogni aspetto della quotidianità e  spingendo a perseguitare e sterminare, per i loro presunti peccati politici, gli appartenenti alle “cinque categorie nere”, che andavano dai contadini ricchi ai controrivoluzionari fino ai proprietari terrieri.

 

E’  meritevole di grande attenzione quanto scrive l’autrice: “Ciò che rende unico il massacro cinese è il fatto che le persone uccidevano i loro stessi amici e famigliari e che il confine tra vittime e carnefici cambiava in continuazione. A differenze di altre tragedie avvenute sotto il Partito comunista cinese, fu totalizzante”. E, bisogna aggiungere, venne accompagnata da un’entusiastica partecipazione di massa.   La cronista ha incontrato decine di sopravvissuti pronti a ricordare ciò che la Repubblica popolare di Pechino desidererebbe venisse dimenticato. Il libro riporta per esempio la vicenda di un avvocato che, da bambino, denunciò la propria madre, colpevole di aver criticato tra le mura domestiche l’operato del Grande Timoniere; la storia di un compositore, originario della capitale, che fu prima deportato, poi torturato e infine riabilitato; il racconto del vedovo di una insegnante, la cui consorte venne uccisa dalle sue allieve durante il brutale Agosto rosso, e l’imbarazzata versione di colei che le aveva dato la morte.

 

Occorre osservare come, grazie al lavoro di Tania Branigan, il lettore si trovi davanti a un insieme di voci dissonanti che ricostruiscono il passato e delineano il presente della Cina di Xi Jinping: un regime che fonda il proprio consenso sulla crescita economica, sul benessere diffuso ed esercita nel contempo un controllo asfissiante sui propri “sudditi” mediante sofisticati strumenti informatici, relegando così in un’epoca ormai remota la necessità di ricorrere alle delazioni o alle lettere anonime. Un’autocrazia che sembra affondare le sue radici nella Rivoluzione culturale: nella sua assenza di moralità, nella sua ardente retorica, nel suo assoluto disprezzo per la democrazia, nella sua sconfinata ammirazione per il capo.

    

Tania Branigan
Memoria rossa
Iperborea, 303 pp., 19,50 euro

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Autore
Il Foglio

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