Memoria, perché al posto dell'orrore non ci siano ville
- Postato il 28 gennaio 2025
- Di Agi.it
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Memoria, perché al posto dell'orrore non ci siano ville
AGI - Leggere serve a conoscere, vedere serve a capire. Questo è il senso del Viaggio della Memoria che si concluderà oggi e che ha visto impegnati 142 studenti dei licei romani organizzato dal comune di Roma, Città Metropolitana e Fondazione Museo della Shoah di Roma. L'ultima giornata è iniziata dalla Juden Ramp dove milioni di ebrei venivano scaricati fuori dai campi nazisti, oggi un luogo che torna alla memoria per la volontà ostinata della comunità ebraica e i finanziamenti del governo francese di Chirac che ne ha finanziato il restauro.
Un luogo doppiamente mostruoso perché oggi di fronte a quei binari, a circa 30 passi, sorgono delle villette con giardino. Come a voler negare quello che è stato. Una normalità in un luogo consegnato alla storia come un luogo di morte e sofferenza. Ecco cosa vuol dire banalizzare il male, inglobarlo nella normalità vuol dire non solo sminuirlo, ma renderlo quotidiano. Un'altra lezione che parte dalla Polonia, ma come ha ricordato il sindaco va ricordata ogni volta che nelle nostre città, negli stadi, compaiono simboli nazisti, slogan antisemiti, perché quelle cose portano direttamente qui, a questa macchina della morte, alle camere a gas, ai neonati avvolti in un lenzuolo e sbattuti contro i vagoni per ucciderli.
Nel corso della mattina il sindaco ha deposto una corona sul vagone parcheggiato sulla Juden Ramp per ricordare anche gli "ebrei del Papa" che sono arrivati qui: tra loro le sorelle Bucci e Shlomo Venezia. Il sindaco Gualtieri presente nella prima parte della visita ha ribadito il senso profondo di questo viaggio che è "toccare con mano e scendere nell'abisso di un mondo che potrà non tornare solo con l'impegno di ciascuno".
Trasformare in carne viva i racconti dei testimoni, le date studiate sui libri di scuola, è mettersi in ascolto e provare a raccogliere il testimone non solo per preservare questa storia, ma per riconoscere i segnali preoccupanti che ci circondano e avere "un ruolo da protagonisti, assumersi la propria responsabilità affinché non avvenga mai pià", ha esortato i ragazzi l'assessore alla Scuola, Claudia Pratelli. Presenti tra i ragazzi anche i pronipoti di due deportati, Jacopo Tagliacozzo e Lyel Dabush, che stanno attraversando questi luoghi con un peso in più.
"Essere qui oggi è una vittoria. Se lui non fosse tornato io non sarei qui a raccontare la sua storia. Il fatto che io sia venuta qui è proprio il simbolo che noi abbiamo vinto contro questa cosa -racconta Lyel, 15 anni. Suo nonno Leone Sabatello era tra i deportati del Portico d'Ottavia quel 16 ottobre del 1943, della sua famiglia fu l'unico a salvarsi e proprio in queste baracche di Auschwitz, da dove ora parla questa ragazza, rimase 15 mesi che lui descriveva come "5 anni", giorni e ore che non dimenticherà mai più.
"Non ha più dormito, di notte si svegliava di soprassalto gridando che arrivavano i tedeschi- racconta Lyel che stamane ha ricevuto un messaggio: "mia madre mi ha scritto un messaggio dicendomi che loro sono venuti qui con un biglietto di sola andata e io venendo qui è come se li riportassi tutti a casa". Proprio quest'anno che il viaggio si è svolto senza la preziosa presenza dei sopravvissuti, il senso di questi viaggi si fa più tangibile: consegnare il testimone della memoria alle giovani generazioni, trasformando questi ragazzi in messaggeri di pace, affinché sia davvero "mai più".
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