Meloni rilancia sulle spese per la Difesa

  • Postato il 30 marzo 2025
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Meloni rilancia sulle spese per la Difesa

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L’idea di Meloni e Palazzo Chigi delle spese per la Difesa continua però ad incontrare una diffusa opposizione trasversale. «Queste spese sono il prezzo della libertà».


«Le spese in difesa e sicurezza sono il prezzo della tua libertà». Il messaggio del premier Giorgia Meloni – intervenuta ieri al congresso di Azione – non poteva essere più chiaro. Lo sforzo straordinario richiesto dalla difficile congiuntura geopolitica e dall’accrescersi delle minacce internazionali si trasforma dunque in una chiamata alle proprie responsabilità, che non possono più essere condizionate a concezioni obsolete di politica estera e di Difesa. Una nuova epoca, caratterizzata da nuove priorità e incarnata dalla scadenza – sempre più vicina – del prossimo giugno per alzare la propria spesa militare.

IDEA MELONI RILANCIA SULLE SPESE PER LA DIFESA: L’OBIETTIVO DEL 3% DEL PIL E LE OPPOSIZIONI

L’obiettivo euro-americano del 3% del Pil richiederebbe in pratica un sostanziale raddoppio degli attuali livelli di spesa pubblica per quanto concerne la Difesa nazionale, uno sforzo complessivamente notevole per Roma. Fatti i debiti conti infatti, questo significherebbe un investimento aggiuntivo che, nel periodo 2025-2028, ammonterebbe a una cifra tra gli 88 e i 120 miliardi di euro. Un impegno che Meloni considera tuttavia non rinviabile di fronte alle nuove necessità globali, ma che incontra una diffusa opposizione trasversale. «Dire che la sicurezza si garantisce solo con le armi è una bugia» attacca infatti il Segretario Generale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), Maurizio Landini, già tra i protagonisti della manifestazione dello scorso 15 marzo.

LA RISPOSTA DEL PREMIER E L’APPOGGIO EUROPEO

Ma secondo Meloni la narrativa del fronte anti-riarmo incarna una proposta rischiosa e anche contraddittoria. «La proposta è rompere ogni forma di alleanza con gli Usa, ma chiedere loro di occuparsi della nostra sicurezza lo stesso o è che l’Europa diventi una grande comunità hippie demilitarizzata che spera nella buona fede delle altre potenze straniere?» ha chiesto retoricamente il premier, aggiungendo «se chiedi a qualcuno di garantire la tua difesa, devi sapere che quel qualcuno non lo farà gratis. Devi sapere che gli interessi di quel qualcuno su qualsiasi tavolo varranno più dei tuoi». Una retorica che, nonostante l’evidente simpatia pro-Trump e filo-americana che costituisce la stella polare dell’azione diplomatica del governo, trova una sponda anche a livello europeo. La presidente della Commissione europea Ursula von der Layen, intervistata al Corriere della Sera, ha infatti dato un mezzo endorsement alla linea della premier: «Conosco Giorgia Meloni come leader forte e appassionata, con un ruolo molto importante a livello europeo, ed è positivo che abbia un rapporto diretto. Più legami ci sono tra le due sponde dell’Atlantico, meglio è».

LA STRATEGIA ITALIANA DELLA MELONI E IL CONSENSO INTERNO PER IL RILANCIO SULLE SPESE PER LA DIFESA

La strategia a Roma è sempre la stessa: cercare di ricucire i rapporti tra Europa e Stati Uniti per presentare un fronte occidentale unitario a sostegno di Kiev. Lo ha sottolineato il Vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Al momento non possiamo prevedere alcuna partecipazione nazionale a una eventuale forza militare sul terreno in Ucraina. Se si deciderà l’invio di una forza di pace Onu potremmo valutare una nostra partecipazione, ma al momento questo è prematuro» afferma il capo della Farnesina, che insiste sulla proposta di «valutare l’utilizzo dell’articolo 5 della Nato a sostegno di Kiev, pur senza l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza». Nonostante le entrature internazionali però, la difficile situazione diplomatica – con i ben noti distinguo in seno alla maggioranza di governo, in particolare lungo l’asse Lega-Forza Italia – pesa tanto sull’azione dell’esecutivo quanto sul suo gradimento interno.

LA RIPRESA DELLE FORZE ANTI-MILITARISTE

Secondo le rilevazioni, il governo a guida Meloni tocca infatti il 40% nel gradimento interno, il minimo storico dal suo insediamento. Anche il consenso personale della premier segua una parabola simile, nonostante l’evidente incapacità delle opposizioni di trarre vantaggio da questa congiuntura per mettere in difficoltà il governo. Fratelli d’Italia si conferma così primo partito, pur in calo, al 26.6%, staccando decisamente il Partito Democratico fermo al 21.5%. Ma non si può nascondere la ripresa delle forze politiche più attive sul fronte anti-militarista, vale a dire la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte (che il prossimo 5 aprile prepara a Roma una nuova piazza anti-militarista), rispettivamente in risalita al 9% e al 13.8%. Un controcanto alla “narrazione della responsabilità” della stessa premier, che non ha mancato di denunciare la contraddizione di quei partiti che oggi manifestano contro il riarmo dopo avere in passato approvato simili stanziamenti per la Difesa. Il M5S, certo, ma anche la Lega i cui distinguo si contano ogni giorno. Forse, prima di dare lezioni in casa d’altri Meloni dovrebbe mettere in ordine la sua.

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