Meloni e Schlein, se ci fosse Forattini…la gag del dopo referendum, Conte in agguato
- Postato il 5 novembre 2025
- Politica
- Di Blitz
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“Non mi dimetto se al referendum vincerà il no”, sostiene convinta Giorgia Meloni”. “Se gli italiani non saranno favorevoli alla riforma della giustizia la premier deve lasciare Palazzo Chigi“, dice senza tema di essere smentito il senatore dei 5Stelle Stefano Patuanelli.
Ecco fatto: si vuole portare la riforma delle carriere ad una svolta per cui, in caso di sconfitta, la maggioranza dovrà alzare bandiera bianca.
Non è così, naturalmente: in primavera il popolo sovrano si pronuncerà a favore o contro una riforma che attende da anni e che non è mai riuscita a trovare un consenso definitivo.
Quale sarà il responso non è facile prevederlo anche se i sondaggi sono favorevoli al ministro Carlo Nordio, il guardasigilli, finito ultimamente nell’occhio del ciclone. Insieme, è ovvio, al presidente del Consiglio.
La Sinistra vuole Meloni out

(foto Ansa) – Blitz Quotidiano.it
L’obiettivo della sinistra si è palesato, anche se fino a qualche tempo fa, si nascondeva dietro un dibattito che nulla aveva a che fare con una crisi dell’esecutivo.
I magistrati difendevano il loro orto sparando a pallettoni contro una iniziativa che voleva sottomettere i giudici al potere politico; Elly Schlein e i suoi alleati (quali di grazia?) seguivano questa linea senza mai toccare il principio del si o del no alla premier.
Ora che i giochi non si possono più nascondere, l’opposizione si è schierata ed è convinta che in caso di una sconfitta, la Meloni deve lasciare la poltrona di Palazzo Chigi. La segretaria non esce allo scoperto, suggerisce questa furbizia a qualcuno degli esponenti del campo largo che non vede l’ora di farsi una pubblicità gratuita.
È una mossa che poteva essere prevedibile anche se nessuno dei big del partito dcemocratico era arrivato a tanto. D’altronde, se non si vuole essere ipocriti fino all’ultimo, si può comprendere questa strategia.
Maggioranza stabile benché
La maggioranza è stabile, le preferenze aumentano, i sondaggi sono tutti da quella parte. In parole povere, se si dovesse votare oggi o un prossimo domani, la sinistra non avrebbe nessuna possibilità di successo.
Dovrebbe rimanere all’opposizione fino al 2027 (quando si voterà) e anche oltre.
Ragione per cui il referendum può essere una ghiotta occasione per ribaltare l’attuale assetto politico.
L’intellighenzia o buona parte di essa, tifa per il “no”, le toghe rosse o presunte tali sperano in uno scivolone per non dover rinunciare a certi favoritismi che la legge ora gli consente. Hanno addirittura creato un comitato infischiandosene di quanti affermavano e affermano che in questo modo il principio della terzietà va a farsi benedire.
C’è chi sostiene che le redini della situazione dovrebbe tenerle in mano il Pd, partito indispensabile se si vuole avere qualche chance di sconfiggere gli avversari.
D’accordo, ma quale Pd? Quello dell’attuale segretaria o quello dei riformisti che si agitano sempre di più e sono i primi a contrastare il passo dei big di via del Nazareno? Senza contare i furbi e ondivaghi pentastellati il cui leader, Giuseppe Conte, ha ben altri progetti: far fuori Giorgia Meloni, va bene, per tornare poi lui a Palazzo Chigi, il candidato di maggior prestigio essendo stato due volte capo del governo con due maggioranze diverse.
Dovremo abituarci allo scambio di accuse e alla violenza verbale fino alla data del referendum perché se alla sinisra fallisse questo tentativo si creerebbero tempi duri per la Schlein: non solo per le tante correnti che dividono i dem, ma anche perchè diversi esponenti della sinistra che prima balbettavano adesso sono usciti dal “nascondiglio” e sono a favore del “si”.
Esempio emblematico quello di Augusto Barbera, ex parlamentare del Pci ed ex presidente della Corte Costituzionale che in una recente intervista ha dichiarato che la riforma della giustizia la si deve considerare inevitabile se si guarda al passato e al convincimento di un vecchio e saggio socialista come Giuliano Vassalli.
Un fatto è certo: gli alleati della Meloni (intendiamo dire Forza Italia e Lega) non debbono continuare a litigare e ad andare ognuno per la sua strada perchè in tal modo si offrirebbe il fianco alla sinistra che potrebbe dimostrare la debolezza di chi è alla guida del Paese.
A 94 anni, se n’è andato Giorgio Forattini, l’uomo che con le sue vignette aveva più volte messo in mutande i politici della prima repubblica.
Chi, come chi scrive, ha superato una certa età (ottimismo di maniera) non può aver dimenticato i tanti sorrisi che lui ci ha regalato con i suoi disegni. Cinque minuti di allegria: in molti compravano il giornale per cui lavorava soltanto per vedere che cosa si era inventato quel giorno. Grazie Giorgio e buon riposo.
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