Meloni da Trump e Tajani in India. Quel filo rosso spiegato dall’amb. Castellaneta

  • Postato il 13 aprile 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
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La prossima settimana Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, sarà alla Casa Bianca per incontrare per la terza volta in poche settimane Donald Trump in un bilaterale molto atteso alla luce della “guerra dei dazi “scatenata (e poi sospesa, almeno per il momento) dal presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, sarebbe un errore caricare questo vertice di aspettative troppo elevate: basterebbe, infatti, ricordare che i rapporti tra Italia e Stati Uniti si inseriscono in una storia caratterizzata da una lunga amicizia, fatta di scambi di ogni tipo (economico, culturale, personale) ed è dunque normale che i leader dei due Paesi si incontrino regolarmente. Inoltre, concentrarsi sul solo tema delle barriere commerciali sarebbe riduttivo: nonostante la pur difficile contingenza storica ed economica, le relazioni bilaterali tra Roma e Washington sono caratterizzate anche da molti altri dossier e le crisi internazionali da discutere e affrontare congiuntamente sono molteplici.

Partiamo comunque dal tema più caldo del momento, ovvero quello dei dazi. Dal punto di vista della politica squisitamente commerciale, è lecito immaginare che la presidente Meloni manterrà allineata alle posizioni dei principali alleati dell’Unione europea e soprattutto della Commissione europea, a cui spetta la competenza esclusiva in questo ambito. A maggior ragione considerando che Maroš Šefčovič, commissario europeo al Commercio, sarà a Washington proprio due giorni prima di lei, Meloni farà doppiamente attenzione a evitare invasioni di campo e frizioni con i principali partner europei e in particolare con la Francia di Emmanuel Macron e soprattutto la Germania guidata ora da un cancelliere, Friedrich Merz, che non ha mai fatto mistero di una sua posizione più dialettica nei confronti del nostro principale alleato rispetto ai suoi predecessori. La presidente del Consiglio potrà invece toccare altri aspetti, più legati alle barriere non tariffarie, quali la minacciata tassazione delle multinazionali digitali, gli investimenti reciproci nei due Paesi e la difesa dell’export italiano verso gli Stati Uniti, soprattutto tramite l’eliminazione delle barriere non tariffarie (quelle fito-sanitarie e altre) e il contrasto anche legale alla contraffazione dei prodotti iconici del made in Italy (cosiddetto Italian sounding) e tenendo anche presente una evoluzione dei tassi di cambio che potrebbe sfavorire quanto e più dei dazi la penetrazione dei prodotti italiani ed europei nel mercato americano. Con un dollaro debole evidentemente è più difficile vendere, ma si potrebbe procedere verso un parziale riequilibrio della bilancia commerciale chiedendo in cambio maggiori investimenti in Italia da parte di aziende americane in settori di punta ad alto contenuto tecnologico (magari proprio nel settore della Difesa che necessita di maggiori risorse e dove noi abbiamo un deficit commerciale molto forte). Senza contare la oramai ripetitiva richiesta di portare la nostra spesa per la difesa al 5% del prodotto interno lordo, una soglia che neanche gli stessi Stati Uniti raggiungono.

Insomma, sarebbe già un successo se Meloni riuscisse a rassicurare Trump che il mercato interno unico europeo sia fluido e meno penalizzante con l’obiettivo di creare quel level playing field, quel terreno uniforme, zero contro zero, al di là dei soli dazi sulle merci all’interno dello spazio europeo e nei confronti di beni e servizi provenienti da Paesi terzi. La presidente Meloni dovrebbe inoltre cercare di far presente a Trump che un antagonismo così forte nei confronti della Cina può essere controproducente, giacché potrebbe spingere Pechino da una parte a cercare sbocchi più facili in altri mercati (a partire da quello Ue) e dall’altra a utilizzare le leve finanziarie come vera “opzione nucleare” per mettere in ginocchio gli Stati Uniti e creare scompiglio sul piano finanziario (per esempio liberandosi dei propri titoli del debito pubblico americano). Un mondo diviso in due con gli Stati Uniti da una parte e la Cina (al posto della fu Unione Sovietica) non è utile a nessuno.

Tuttavia, nel corso del bilaterale tra Meloni e Trump saranno certamente toccati anche altri temi di politica estera, a cominciare dalle due guerre in corso (in Ucraina e a Gaza) e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, a cominciare dalla Libia che negli ultimi giorni sono apparsi più distanti ma che restano immanenti. La presidente italiana dovrà anche cercare di capire quali sono le intenzioni di Trump nei confronti dell’Iran a parte la irrealistica minaccia di bombardarlo magari solo per interposto Paese. Se le trattative, invece, che stanno per iniziare in Oman dovessero avere esito positivo, l’eventuale riapertura dei flussi commerciali con Teheran dovrebbe vedere l’Italia in prima fila per non disperdere il patrimonio delle antiche relazioni economiche e culturali. In ragione dei tradizionali buoni rapporti tra il nostro Paese e l’Iran, Meloni dovrebbe cercare di spendersi per favorire il miglioramento delle relazioni con Washington ed entrare a pieno diritto nel formato 5+1 dal quale fummo a suo tempo esclusi (un po’ anche per colpa nostra). La presidente del Consiglio avrà anche l’occasione di riflettere sull’imminente avvicendamento già programmato per giugno, immaginando un sostituto che abbia una già collaudata esperienza degli Stati Uniti e soprattutto del Congresso e del deep state washingtoniano e sappia confrontarsi con autorevolezza, al di là delle tradizionali prassi diplomatiche con la brutalità e l’imprevedibilità di Trump.

Infine, è stato molto importante che negli stessi giorni ci sia stata una simmetria e grande complementarietà con la visita di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri in India, dove si è recato alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali in un Paese che si prepara a essere il terzo grande protagonista di questo nuovo riassetto geopolitico e percorrendo quella via del cotone concretizzata nella iniziativa Imec (Corridio India-Medioriente-Europa) per la quale ha nominato nei giorni scorsi un proprio inviato speciale.

Insomma, Meloni deve farsi trovare pronta a giocare su più tavoli e a perseguire l’interesse italiano su diversi fronti, conscia della rilevanza politica ed economica dell’Italia e della vicinanza ideologica e personale con Trump confermata da questa terza visita negli Stati Uniti e da quella imminente del vicepresidente JD Vance in un momento storica nel quale la messa in discussione delle certezze del secolo scorso, gli effetti devastanti delle turbolenze di questo primo quarto di secolo e l’eccezionale progresso della scienza e della economia digitale stanno ridisegnando un nuovo mondo e nuove alleanze e relazioni internazionali.

Autore
Formiche

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