Melfi, rivolta in carcere: due condanne e un assolto

  • Postato il 21 febbraio 2025
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Melfi, rivolta in carcere: due condanne e un assolto

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Rivolta nel carcere di Melfi contro le restrizioni anti covid nel 2020, la sentenza della Corte d’Appello assolve un detenuto ma sono due le condanne


POTENZA – Due condanne confermate, con lo sconto di pena di un terzo per la scelta del rito alternativo, e una condanna annullata.
Lo ha deciso ieri la Corte d’appello di Potenza presieduta da Rosa D’Amelio nel processo col rito abbreviato per tre dei detenuti coinvolti nella rivolta esplosa a marzo del 2020 nel carcere di alta sicurezza di Melfi, contro le restrizioni sui contatti con l’esterno per prevenire i contagi da covid 19.

I giudici hanno confermato la condanna a 7 anni di reclusione per sequestro di persona a scopo di coazione e devastazione emessa a luglio del 2023 dal gup Lucio Setola nei confronti del 34enne albanese Klevjol Ahmeti, assistito dall’avvocato Salvatore Campanelli. Confermata anche la condanna a un anno e 4 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale del 40enne di Cinquefrondi (Rc), Andrea Fortugno, assistito dagli avvocati Gianluca Nolè e Gerardina Riolo. Annullata, invece, la condanna a 7 anni e 4 mesi per sequestro di persona a scopo di coazione e danneggiamento nei confronti del 42 enne di Pozzuoli, Rosario Beneduce, assistito dagli avvocati Gianluca Nolè e Guglielmo Binetti.

Le motivazioni della decisione verranno depositate nelle prossime settimane, quando in Corte d’appello dovrebbero comparire altri 10 ex detenuti condannati in primo grado al termine del processo col rito ordinario. Incluso il potentino Carlo Troia. Nei loro confronti, però, l’accusa di sequestro di persona a scopo di coazione è stata già derubricata in un reato meno grave come la violenza privata, e anche la devastazione è stata considerata «di lieve entità». Sicché anche senza sconti di pena i 4 imputati con le posizioni più importanti rischiano al massimo una condanna a 7 anni. Identica a quella appena confermata nei confronti di Ahmeti, che rischia di essere l’unico condannato per il reato di sequestro a scopo di coazione, ma non dovrebbe scontare la pena in Italia in quanto destinatario di un ordine di espulsione dal territorio nazionale.

A descrivere ai pm la follia che si impadronì per quasi 9 ore dell’unico carcere ad alta sicurezza della Basilicata, il 9 marzo del 2020, sono stati diversi agenti della polizia penitenziaria, e il personale sanitario che rimasero bloccati all’interno del carcere per alcune ore.
Le infermiere, in particolare, hanno raccontato la paura seguita alla consapevolezza di essere isolate all’interno di un’area del carcere auto-gestita da un gruppo detenuti in rivolta.

Sebbene questi ultimi non abbiano mai in concreto esercitato altra violenza contro di loro rispetto alla privazione della libertà di andar via. Emozioni che non tutti sarebbero stati in grado di reggere mantenendo la calma. Tanto che qualcuno tra gli ostaggi, preso dal panico, sarebbe arrivato a pensare «di appiccare un fuoco» in infermeria, per costringere le forze dell’ordine ammassate all’esterno ad «aprire un varco, cioè tagliare le sbarre di una finestra e farci uscire con la scala dei vigili del fuoco». Per poi prendere le parti dei rivoltosi, definiti i suoi «salvatori», contro la direzione dell’istituto.

Durante la sommossa i detenuti avevano consegnato all’amministrazione penitenziaria anche un “papello” con le loro richieste per rientrare in cella. Richieste che in parte sono risultate connesse «all’applicazione di misure di neutralizzazione del contagio», e in parte rivolte in maniera generica «a ottenere una condizione penitenziaria più favorevole». Come le celle aperte dalle 8:30 alle 15:45 senza poliziotti in circolazione.

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