Meghan Markle, il caso esplode: perché il pubblico non le perdona più la vita “da Duchessa” fuori dalla Royal Family
- Postato il 28 novembre 2025
- Di Panorama
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È una storia fatta di dettagli, e il dettaglio che ha riaperto il fronte mediatico contro Meghan Markle è chirurgico. Non un litigio, non un’intervista fiume, non un attacco ai Windsor: una frase. Un annuncio. Una presentazione formale che nessuno si aspettava e che nessuno, teoricamente, avrebbe dovuto sentire. Meghan entra in una stanza per un’intervista privata nelle ville californiane di Victoria Jackson. Nessun fotografo, nessun pubblico, solo due persone. Eppure una voce la annuncia: “Meghan, Duchess of Sussex”. Basta quello. Basta la forma usata in assenza della sostanza. Basta il protocollo dove non c’è pubblico. Basta la corona dove la coronazione non c’è. In quel gesto il mondo ha letto tutto quello che non vuole perdonarle: la distanza tra ciò che Meghan dice e ciò che Meghan fa.
La vita nelle ville miliardarie dell’imprenditrice Victoria Jackson
È a quel punto che la lente si sposta su Victoria Jackson, 70 anni, pioniera del settore beauty, miliardaria, iscritta alla National Women’s Hall of Fame nel 2017. E soprattutto: padrona di case titaniche — più d’una — sparse tra California e tranquillità rurale da ricchi. Da anni Meghan Markle e Prince Harry le usano liberamente. Gratis. A disposizione. Una residenza di Montecito diventa piccola quando la casa in cui passi i compleanni, le pause lavorative e i soggiorni off the map è quella di un’imprenditrice che può permettersi piscine che sono laghi, saloni che sono piazze e sistemi di sicurezza che fanno impallidire Buckingham Palace. Una fonte ha sintetizzato con crudeltà: le case di Victoria fanno sembrare Montecito una prigione o una baracca sulla spiaggia. Non è un’accusa legale. È una diagnosi sociale. La narrazione ufficiale è: fuga dalla gabbia reale, ricerca della normalità. La percezione pubblica è: fuga dalla monarchia per approdare a un’élite più confortevole, più privata e soprattutto più ricca. Nel 2021 Meghan definì Victoria il suo “safe harbour”. Tradotto oggi dall’opinione pubblica: il porto sicuro non è la libertà, ma il privilegio.
L’armadio reale che non dovrebbe esistere
E mentre l’episodio dell’annuncio faceva il giro del mondo, un’altra storia tornava a galla: l’archivio degli abiti. Le cifre sono note e sono spietate. Nel 2021 TIME: Giorgio Armani, Victoria Beckham, circa 4.000 dollari di outfit. Nel 2022 The Cut: più di 29.018 dollari, con il celebre Chanel tweed Fantasy dress, Bottega Veneta, Proenza Schouler, Manolo Blahnik, per un servizio in cui i comunicati parlavano di indipendenza, autenticità e nuova identità americana. Sempre nel 2022 Variety: circa 13.000 dollari tra Carolina Herrera, Jason Wu, Max Mara, Jennifer Fisher, in un’intervista in cui si raccontava ogni frammento della vita privata con Harry, dalla morte della Regina alle routine familiari. Infine Harper’s Bazaar inverno 2025/2026: 210.732 dollari di outfit — Dior, Chanel, Balenciaga, The Row, Ferragamo — e l’anello Suzanne Belperron da 91.000 dollari. Totale: 257.507 dollari in tre anni di reinvenzione.
Fin qui, nulla di anomalo per una celebrity americana. Il problema nasce quando alcuni abiti — apparentemente — vengono conservati. L’accusa si concentra su un concetto: Meghan avrebbe voluto “preservare” gli outfit come parte di un suo “royal archive”, una sorta di guardaroba storico privato. I rappresentanti della Duchessa hanno risposto in modo netto definendo le accuse “false e altamente diffamatorie” e precisando che “any items kept were done so in total transparency and in accordance with contractual arrangements”. Caso chiuso, sulla carta. Ma non nella percezione pubblica. Perché l’idea stessa di un archivio di abiti d’alta moda funziona perfettamente nel racconto della Meghan aristocratica, perfettamente nel racconto della Meghan glamour, ma non perfettamente nel racconto della Meghan che rifiuta la simbologia del mondo reale.
Il tempismo sbagliato nel momento sbagliato
Il problema non è mai la notizia singola, ma il momento storico in cui arriva. E questa ondata è arrivata nel tempo peggiore per Meghan e Harry. L’accordo con Netflix è finito. Il rebrand è in corso. Il mercato vuole nuova narrazione, pulizia narrativa, una direzione precisa. Invece, ciò che arriva è l’immagine di una donna che parla di autenticità annullando la distanza tra celebrità e corte, che rifiuta l’istituzione ma conserva i simboli dell’istituzione, che dice di voler scappare dal teatro e poi si fa annunciare con il titolo reale in salotti privati. Non esiste tempesta perfetta senza una falla e qui la falla è la percezione di incoerenza.
Perché Meghan resta il bersaglio perfetto
Il punto non è la monarchia. Il punto non sono i soldi, il lusso, gli abiti, le ville o il titolo. Il punto è la narrazione. Meghan rappresenta la contraddizione massima della cultura pop del 2025: libertà e privilegio nella stessa immagine, empowerment e glamour nella stessa frase, critica all’élite e intimità con l’élite nello stesso salotto. È questo che alimenta il fuoco mediatico. Non ciò che fa, ma ciò che incarna. In un mondo in cui la comunicazione è più potente della realtà, Meghan è una battaglia culturale prima ancora che un personaggio pubblico.
Ci sarà sempre qualcuno pronto a difenderla e qualcun altro pronto a distruggerla. Perché finché Meghan Markle continuerà a vivere in quel punto esatto dove la coerenza è negoziata e l’immagine è strategia, non sarà mai libera davvero — né della monarchia, né dei media, né del mito che ha contribuito a costruire.