Mediterraneo. Un mare di storia e futuro
- Postato il 10 marzo 2025
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Il Quotidiano del Sud
Mediterraneo. Un mare di storia e futuro
Sulle coste del mare Mediterraneo si gioca una drammatica partita di inclusione sociale ed esclusione culturale
Il Mediterraneo è un immenso archivio e un profondo sepolcro, scriveva il vate di quell’ombelico della civiltà europea, Predrag Matvejevic.
Una constatazione e un terribile vaticinio che ci annunciava come proprio fra le coste del mare nostrum si sarebbe giocata una drammatica partita di inclusione sociale e di esclusione culturale. In questi anni la dimensione del profondo sepolcro, dove sono custoditi centinaia di corpi di chi ha provato a forzare il proprio destino, cercando di sfuggire alla morte riparando nella parte più vivibile di quel mare, ha largamente prevalso su quella della memoria.
Oggi i due destini descritti di Matvejevic si intrecciano e ci interrogano: è davvero possibile ricostruire il passato e organizzarlo per parlare al futuro senza decifrare l’ecatombe che si sta realizzando in queste acque?
Una domanda che non si esaurisce in un moto di compassione, ma che diventa parte di una moderna necessità per l’intera area mediterranea che, pur disponendo del serbatoio culturale più ricco e accreditato del pianeta, appare del tutto sguarnita nella capacità di fronteggiare le nuove competizioni sul fronte dell’alfabetizzazione dei sistemi digitali generativi.
Come purtroppo solo il nuovo clima bellico ha potuto persuaderci, siamo in una congiuntura internazionale in cui le grandi aree del mondo si trovano a fronteggiarsi sulla base della propria capacità di orientare e addestrare le nuove tecnologie di intelligenza artificiale che supportano e guidano i processi di organizzazione civile e militare. In questo contesto sempre più dobbiamo ricordare l’insegnamento di quel grande statista italiano che fu Aldo Moro, che sosteneva che “nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.
Continuando la linea di questo ragionamento possiamo dire che la memoria e i linguaggi di questa parte del mondo sono costituiti dalle esperienze di tutti i suoi figli.
Quanto ha pesato la magia delle culture del Nilo in quell’alchimia filosofica del pensiero combinatorio rinascimentale con Pico della Mirandola, Lullo e Giordano Bruno? E quanto oggi quei linguaggi ipertestuali che già cinque secoli fa intuivano la centralità delle formule algoritmiche per leggere e organizzare il sapere in una logica circolare che proprio Bruno descriveva con la sua visione per cui “nessun punto è centro e tutti lo sono e per questo lo chiamiamo sfera”.
Dopo l’esaurirsi della fase fordista, dove il primato era dato dalle capacità di organizzare gerarchicamente modelli efficienti di sfruttamento della natura, a cominciare dal lavoro umano, siamo oggi ad un nuovo stadio delle relazioni sociali in cui diventa essenziale poter valorizzare le attitudini conversazionali in processi di addomesticamento dei nuovi dispositivi di intelligenza artificiale.
Le memorie, siano essi archivi o musei, rappresentano non più un capitale da conservare, ma risorse straordinarie da reinvestire nell’opportunità di rendere questi meccanismi algoritmici più affini agli utenti piuttosto che ai proprietari. Si ripresenta quella sindrome di conquista che vissero i romani rispetto alla mastodontica cultura greca, che Orazio sintetizzò magistralmente con il suo celeberrimo aforismo per cui Graecia capta ferum victorem cepit (la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore).
In questa prospettiva torna centrale l’abilità linguistica, ossia la capacità di impaginare il sapere per trasferire alle macchine senso logico, o ancora meglio, sensibilità decisionale. Le ultime esperienze di soluzioni tipo DeepSeek, la nuova versione di intelligenza artificiale di matrice cinese a basso costo, ci indica anche una strada che potrebbe rappresentare una vera e propria strategia per il gigante muto europeo.
La possibilità di mixare procedure di open source, ossia di elaborazione collaborativa nello sviluppo della potenza di calcolo, con un processo come la cosiddetta distillazione, per il quale è possibile che sistemi generativi di dimensioni ridotte possano imparare da grandi apparati riducendo vertiginosamente i costi di addestramento, ci conferma come si profili nel Mediterraneo una nuova occasione.
L’intero sistema informatico si realizza sempre mediante tendenze che da grandi apparati arrivano a forme di miniaturizzazione dei terminali: dal personal computer agli smartphone, la regole è implacabile. Una miniaturizzazione che decentra l’accesso alle tecnologie, estendendo enormemente la platea degli utenti.
Questa lezione deve, da una parte, guidare la strategia europea, che invece che riprodurre un impossibile gigantismo quale quello di marca privata americano o di marca statale cinese, deve appunto orchestrare nuove modalità di organizzazione della collaborazione sociale della ricerca e dello sviluppo digitale.
Dall’altro però questa strategia non può non connettersi con una visione di open source sociale, che integri e accolga risorse ed energie che da altre sponde del Mediterraneo arrivano ai paesi dell’Europa più sviluppata.
La strada per una piena autonomia e indipendenza continentale sta proprio nella connessione fra una politica che ibridi filosofia e tecnologia, in una logica di collaborazione orizzontale, con scelte che sappiano integrare e valorizzare gli istinti delle popolazioni e culture del sud del mondo che si rivolgono all’Europa in un nuovo melting pot digitale.
È una strada che abbiamo già percorso, dai tempi di Adriano Olivetti , con la sua visione comunitaria in cui l’informatica era la scorciatoia per civilizzare la fabbrica e rendere più trasparente la società, alle esperienze del CERN di Ginevra dove nel 1990 viene inventato il web da Tim Berners-Lee fino all’affermazione della connessione satellitare tramite il gruppo Eutelsa. Primati che si sono poi rivelati anche frustranti sconfitte di strategie che non hanno saputo sostenere e guidare tali intuizioni.
Oggi abbiamo una nuova opportunità, a patto, come ricordava Papa Francesco al vertice sull’intelligenza artificiale di Parigi, di evitare subalternità a formule e vocabolari che “limitino la visione del mondo a realtà esprimibili solo in numeri e racchiuse in categorie pre-confezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi”.
Il Quotidiano del Sud.
Mediterraneo. Un mare di storia e futuro