Media occidentali, censura e fake news: la migliore arma letale di Israele e dei suoi alleati

  • Postato il 29 luglio 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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di Massimo Reina

C’è un silenzio che fa più rumore delle bombe. È quello dei media occidentali, accorsi a puntare l’indice verso Hamas il 7 ottobre 2023, ma improvvisamente ciechi, sordi e afoni quando i bombardamenti israeliani radono al suolo ospedali, scuole, convogli umanitari. Un silenzio costruito, selettivo, chirurgico quanto gli F-16 che sorvolano Gaza.

La  censura algoritmica


CNN, BBC, Sky News, Le Monde, New York Times, Reuters, Politico: tutti, nei giorni successivi all’attacco, rilanciano la narrazione ufficiale del governo Netanyahu. Nessuna verifica indipendente, nessun fact-checking sulle cifre gonfiate, nessun dubbio sulle cause. Quando Al-Ahli Hospital viene colpito, il titolo della BBC è: “Un’esplosione in un ospedale di Gaza: le accuse si rincorrono”.


Quando un convoglio ONU viene centrato da un missile israeliano, il New York Times titola: “Circostanze ancora da chiarire”. Quando si scoprono fosse comuni negli ospedali evacuati con la forza dall’IDF, nessuna breaking news. Solo trafiletti. Spesso nascosti. È l’etica selettiva dell’informazione embedded, che da anni accompagna le guerre “giuste”: quelle combattute da Israele, dalla NATO, dagli alleati “democratici”.


Guerre che, per definizione, non possono essere crimini. E dunque non si raccontano. O si raccontano solo a metà. E’ così da anni, è peggiorato dal 23 ottobre 2023, quando Israele inizia anche l’invasione da terra del resto della Palestina che non ha ancora occupato, e quindi della Striscia di Gaza.


I giornalisti che osano

Chi prova a uscire dal coro viene marginalizzato. Max Blumenthal, di The Grayzone, viene accusato di antisemitismo. Jonathan Cook, ex Guardian, è ormai fuori dai circuiti ufficiali. Robert Fisk (scomparso nel 2020), che avrebbe gridato allo scandalo, oggi non avrebbe trovato spazio su nessuna testata.


I freelance sul campo come chi scrive e i suoi colleghi? Criminalizzati, ingorati derisi. I giornalisti palestinesi uccisi? Non fanno notizia. Ma se inciampa su una margherita un’inviata di Fox News in Ucraina, parte il lutto nazionale e la crticia alla Russia, con accuse di putinismo alla margherita stessa. Poi ci sono i nuovi censori: Meta, X (Twitter), Google. Ogni post che accenna a crimini di guerra israeliani rischia la rimozione o la limitazione della visibilità. I contenuti palestinesi sono etichettati come “sensibili”, “non verificati”, “controversi”. Gli algoritmi puniscono le immagini troppo vere, troppo dolorose.


Persino i bambini morti vengono oscurati per “non urtare la sensibilità del pubblico”. Tranne i bambini israeliani usati come simboli del dolore nazionale, quelli campeggiano ovunque. Anche quando sono vivi e vegeti ma la propaganda li fa “morire” in modi atroci. Il dolore, come la notizia, ha una bandiera.

Il gioco delle etichette

L’arma più efficace dei media, oggi, non è l’informazione. È l’etichetta. Chi parla di genocidio è “filo-Hamas”. Chi difende i civili palestinesi è “antisemita”. Chi chiede il cessate il fuoco è “equidistante”. E chi dubita del Mossad è “complottista”. La funzione dei media non è più quella di informare, ma di filtrare, incasellare, disinnescare ogni verità che scotta.


Insomma, il 7 ottobre ha segnato l’inizio di una guerra. Ma non solo a Gaza. Anche nei media, nella coscienza, nella verità. Il Mossad ha chiuso gli occhi. I media li hanno riaperti solo dove conveniva. E così, mentre le bombe cadono e gli ostaggi restano, l’unico vero prigioniero è il pubblico occidentale. Tenuto all’oscuro con metodo, distratto con indignazioni a comando, nutrito di propaganda e anestetizzato dal rumore. Perché la guerra non si vince solo con i missili. Si vince raccontandola nel modo giusto.


1. Ami Ayalon – Ex capo dello Shin Bet (servizio di sicurezza interna israeliano)
❝ Non si può parlare solo di sorpresa. Questo è stato un fallimento dell’intero sistema di sicurezza israeliano. ❞
(Intervista a Channel 12 News, ottobre 2023)
Ayalon ha sottolineato che Hamas ha operato per mesi e che non è credibile che nessuno nell’intelligence israeliana ne fosse a conoscenza, specie in un’area come Gaza, sorvegliata 24 ore su 24 da droni, intercettazioni e spie locali.


🔍 2. Efraim Halevy – Ex direttore del Mossad
❝ Israele ha perso la capacità di vedere il nemico nella sua evoluzione politica e militare.
(Haaretz, ottobre 2023)
Ma più avanti, in colloqui off-record citati dal Middle East Eye, Halevy avrebbe lasciato intendere che l’errore non fu solo analitico, ma anche strategico, ovvero: “non abbiamo voluto vedere, perché pensavamo ci convenisse così.”


📄 3. Documento riservato trapelato su Intelligence Online (novembre 2023)
Secondo una fuga di notizie pubblicata da Intelligence Online, un rapporto interno delle IDF (Israel Defense Forces) stilato nel luglio 2023 metteva in guardia su una possibile operazione combinata via terra e cielo da parte di Hamas, con uso di droni esplosivi, bulldozer, deltaplani e presa di ostaggi. Tutto ciò è avvenuto il 7 ottobre.


👉 Ma il documento non fu mai trasmesso al governo.
Un insabbiamento? Una negligenza volontaria?


🔥 4. Ex analisti della CIA e del Mossad (citati da Grayzone, Mondoweiss, Haaretz)
Diversi ex funzionari anonimi citati da fonti indipendenti come The Grayzone e Mondoweiss hanno dichiarato che:
·       “L’infiltrazione a quel livello non è compatibile con il livello di sorveglianza israeliano.”
·       
 “Per giorni si sono mossi con cellulari, armi, piani. Nessuna intercettazione? Nessuna allerta?”
·       
 “Se il Mossad può colpire uno scienziato a Teheran, non può accorgersi di 2.000 miliziani in movimento a Gaza?”

🔇 5. Giornalisti e ricercatori censurati
·       
 Max Blumenthal, giornalista di The Grayzone, ha pubblicato più articoli ipotizzando una falsa percezione strategica o addirittura una “finestra operativa lasciata aperta” per provocare una crisi utile a legittimare la distruzione totale di Gaza.
·       
 Jonathan Cook, ex corrispondente del Guardian da Gerusalemme, parla apertamente di “utilizzo dell’attacco come catalizzatore per una guerra già preparata”.
·       
 
📌 CONCLUSIONI
Non siamo nel territorio del complottismo, ma in quello della strategia geopolitica.
Le ipotesi più accreditate oggi tra ex agenti, analisti e giornalisti d’inchiesta sono tre:
1.     Fallimento grave, ma reale: il Mossad e lo Shin Bet erano convinti che Hamas fosse “contenuta” e hanno ignorato segnali chiari.


2.     Negligenza strategica: i segnali c’erano, ma sono stati volutamente ignorati perché politicamente utile avere un pretesto per una reazione brutale.


3. “Let it happen” controllato: il confine era vulnerabile per scelta. Lasciare passare l’attacco avrebbe fornito l’equivalente israeliano dell’11 settembre.



 
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