Maurizio Zottarelli: la schighera copre tutto per svelare l'essenziale
- Postato il 6 novembre 2024
- Di Libero Quotidiano
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Maurizio Zottarelli: la schighera copre tutto per svelare l'essenziale
«È l'incertezza che affascina. La nebbia rende le cose meravigliose». Oscar Wilde, uomo del nord, aduso alle brume britanniche, ma dallo sguardo smagato sulla realtà, aveva colto alla perfezione l'essenza della nebbia e le ragioni dell'amore che i lombardi e i milanesi in particolare portano a questo fenomeno atmosferico, invasivo e sfuggente, infido, che va e viene, che si scioglie in una ariosa giornata di sole e poi si richiude, di nuovo, in una stanza fumosa e che loro chiamano “scighera”, proprio a indicare la sua natura bagnata e scivolosa.
Chi arriva a Milano, da sempre, vede la nebbia e si stranisce con orrore. I milanesi, invece, cercano quello che c'è oltre, i confini galleggianti nel lucore che rivelano gli oggetti e conferiscono loro un significato altro, più vero perché ricercato. È questo che Ernest Hemingway, conducente di autoambulanze durante la Prima guerra mondiale, vide nel suo soggiorno forzato sotto la Madonnina, uscendo dall'ospedale dove era curato in via Armorari. «C'era nebbia nella piazza e quando vi arrivammo vicino, la facciata della cattedrale ci parve enorme e la pietra era bagnata. Attraversammo l'estremità della piazza e ci voltammo a guardare la cattedrale. Era bella nella nebbia», ricorda in Addio alle armi, perché, in effetti, nella scighera il Duomo svela la sua vera ragion d'essere, l'imperativo metafisico di rendere visibile ciò che è Invisibile, mostrare in pietra e marmo ciò che è Spirito.
GENTE DI MARE E DI PIANURA
La nebbia per i milanesi non è quella del Carducci che «gl'irti colli/Piovigginando sale,/E sotto il maestrale/Urla e biancheggia il mar». Quella è la foschia allegra e ridanciana della riviera che arriva a vivacizzare un po' le giornate di primavera e gli autunni che sanno ancora dei bollori estivi. È quell'umidità che i popoli del mare confondono con la nebbia, ma che non ingannerebbe mai un padano. Per gli uomini delle pianure la nebbia sale dal profondo della terra insieme alle piante che avvolge e protegge, è il respiro dei fiumi che profuma di borotalco e racconta, vela e svela, i ricordi delle ere perdute e dei popoli che quelle terre hanno calpestato. La nebbia per un padano è il luogo della memoria, è la condizione che ti costringe a strizzare gli occhi per vedere più in profondità. Come intuì un altro americano capitato per queste lande e mai più ripartito, William Congdon, che alle campagne immobili nella scighera della bassa milanese ha dedicato innumerevoli, struggenti quadri.
In questi giorni, che è tornata ad allagare le contrade milanesi, la nebbia per chi su queste strade è nato e cresciuto è diventata anche il luogo della nostalgia, il pretesto per ricordare, quando c'erano «quei bei nebbioni che in macchina non vedevi nemmeno il volante», quelle notti in cui si tornava a casa seguendo passo a passo la mezzeria per evitare i fossi e dove, a un tratto, compariva il forestiero che si era schiantato contro una macchina in sosta perché, poco esperto, invece della mezzeria aveva deciso di seguire la riga bianca di destra che delimita la carreggiata. E poco importa se quei nebbioni della memoria erano più smog che vapor acqueo condensato in minutissime goccioline, come direbbero gli scienziati; poco importa se più che all'evaporazione dei campi erano dovuti alle caldaie a carbone e gasolio che facevano piovere la loro fuliggine su strade e palazzi. Quella è la nebbia che avvolge la gioventù, le serate a cantare nei locali sui navigli che, al suono di una chitarra di un menestrello meneghino, dispensavano mondeghili, busecca, rustin negàa, cassoeula, polenta concia e un qualche barberone di San Colombano o dell'Oltrepò. È la densa e bonaria foschia che nasconde i ricordi di quando da quei locali si usciva e, per smaltire la sbornia, si prendeva la via del Naviglio, sbattendo i piedi sul pavé fradicio e cantando che «la nebbia è la nostra cocaina».
Già, perché alla fine, è sempre stato così. Quell'euforia irragionevole che ha sempre colto i milanesi al comparire della nebbia è l'inarrestabile volontà di ricerca che coglie l'uomo, quando è uomo, sotto ogni cielo; l'eccitante che accresce il desiderio al cospetto del mistero che si cela a un primo sguardo e si rivela solo a chi osa spingersi oltre la coltre. L'ironia napoletana di Totò aveva percepito il piccolo grande tesoro che si celava sotto la caligine bianca, ma non l'aveva colto fino in fondo quando diceva: «Ma, dico, se i milanesi, a Milano, quando c'è la nebbia, non vedono, come si fa a vedere che c'è la nebbia a Milano?». Più in là, principe de Curtis, la scighera ti dice di andare più in là...
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