Maurizio Cocco, un caso kafkiano in Costa d'Avorio
- Postato il 11 marzo 2025
- Di Agi.it
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Maurizio Cocco, un caso kafkiano in Costa d'Avorio
AGI - È il 30 maggio del 2022, Maurizio Cocco, che da poco meno di un anno e mezzo si è trasferito in Costa d'Avorio, riceve una telefonata come tante ne arrivano in quei giorni sul suo cellulare. Ha saputo muoversi nella caotica capitale Abidjan e anche se la sua attività non è ancora decollata, è ottimista. A 59 anni ha una solida esperienza nel campo dell'edilizia e sa che la Costa d'Avorio è uno dei tanti Paesi africani che hanno bisogno di infrastrutture. Lui, che per 12 anni ha lavorato per il gruppo Caltagirone, ha creato la zona di Casal Boccone a Roma e l'intero stabile della TIM in via della Magliana, è convinto di essere la persona giusta nel posto giusto.
L'arresto e le accuse
A chiamarlo al telefono è un generale che Cocco conosce bene: è uno dei frequentatori del più elegante ristorante di Abidjan, che si trova proprio sotto il suo appartamento. Vi si incontrano politici, diplomatici, uomini d'affari e di apparato: il genere di locale che bisogna frequentare per entrare nel giro che conta. Con uno dei titolari Cocco ha anche costituito da pochi mesi una società di costruzioni.
Il generale, al quale in passato Cocco ha fornito del materiale edilizio regolarmente pagato, lo aspetta sotto casa e con cortesia lo invita a salire in macchina. In auto ci sono anche alcuni militari, ma Cocco non si sorprende: "Il generale era sempre con la scorta", racconta. Parlano di lavoro, ma a un certo punto l'alto ufficiale fa fermare l'autovettura, scende e chiede a Cocco di seguire i colleghi per un controllo.
È l'inizio di un incubo che non è ancora finito. Maurizio Cocco viene arrestato e tre giorni dopo gli vengono contestate le accuse di traffico internazionale di stupefacenti, associazione a delinquere e percosse. Insieme a lui sono state arrestate altre 65 persone in quella che la stampa locale descrive come la più importante operazione contro la criminalità nella storia del Paese. In carcere finisce anche un parente dei gestori del ristorante - lo chef - che Cocco frequenta e che, lo abbiamo detto, si trova proprio sotto il suo appartamento, un altro italiano riesce a fuggire in Libano.
Le prove e la difesa
Gli inquirenti ivoriani sospettano che Cocco sia complice di alcuni cittadini spagnoli e colombiani: i loro telefoni agganciano la stessa cellula in tre occasioni: 13 febbraio 2022, 11 marzo 2022 e 15 aprile 2022. Peccato che il suo ufficio era a ridosso della zona frequentata dai narcotrafficanti e che, l'11 marzo del 2022, l'ingegnere era andato in un piccolo hotel - La Pergola - di quella zona per pagare il conto a due operai italiani che lo avevano raggiunto nel Paese africano per alcuni lavori nell'unico cantiere che in quel momento aveva e che il 15 aprile dello stesso anno l'Ingegnere aveva fatto rientro in Italia per la Pasqua per fare una sorpresa ai propri cari.
Prima di finire in carcere, in una cella di 50 metri quadrati in cui sono rinchiuse 220 persone, ha fatto in tempo ad avvertire la moglie che è subito partita e, appena arrivata, si è messa alla ricerca di un avvocato. Ma non c'è verso di convincere i giudici a concedere almeno gli arresti domiciliari all'ingegnere italiano, nonostante i narcotrafficanti spagnoli e colombiani – tutti condannati a vent'anni – abbiano nel corso del processo escluso categoricamente di aver intrattenuto qualsiasi rapporto con Cocco.
Nel frattempo uno dei calabresi titolari del ristorante – quello con il quale l'ingegnere aveva costituito la società - viene arrestato ed estradato in Italia, dove deve scontare una condanna a dodici anni di carcere.
Il ruolo della diplomazia italiana
La macchina della giustizia e della diplomazia italiana si è mossa in fretta per lui, ma non altrettanta fretta sembra avere per Cocco, che resta in carcere nonostante le accuse a suo carico siano cadute. A tenerlo in cella è un'altra contestazione, quella di riciclaggio che deriverebbe da un pagamento ricevuto da un noto imprenditore italo-francese che con lui ha collaborato nell'unico cantiere. Una vicenda della quale a tutt'oggi non si conoscono altri dettagli.
La giustizia ivoriana è lenta e Cocco passa in detenzione cautelare più di due anni. Tanto che quando viene emessa la condanna di primo grado a due anni per frode fiscale, di fatto li ha già scontati. È il 7 maggio del 2024 e sulla pista, a Ciampino, c'è un aereo in attesa di partire alla volta di Abidjan per riportarlo a casa. Ma, racconta l'avvocato Mario Cicchetti, che nel frattempo è subentrato nella gestione del caso, c'è un qualche intoppo e l'operazione viene abortita. Inoltre i legali ivoriani di Cocco hanno presentato ricorso contro la sentenza – il loro obiettivo è chiarire l'innocenza dell'ingegnere – e la giustizia locale ha rilanciato con un'accusa di riciclaggio che lo tiene ancora in carcere, in attesa della sentenza di un procedimento che è ancora in fase di indagine e che nessuno ha idea di quanto potrà durare.
Condizioni di salute preoccupanti
“Nel frattempo Cocco ha perso metà del suo peso” racconta l'avvocato Cicchetti, “ha contratto la malaria e una quantità di virus che in Europa nemmeno conosciamo e ha avuto un ictus. Nell'aprile del 2024 Mattarella è stato in Costa d'Avorio ed era senza dubbio a conoscenza della situazione di Cocco.
Lo stesso Antonio Tajani ne è al corrente anche in virtù del fatto che è originario di Fiuggi, proprio come l'ingegnere. Se le autorità italiane non fanno quanto devono e hanno già fatto per altri connazionali in simili condizioni, avranno sulla coscienza la sua vita, a prescindere che sia colpevole o meno. La gravissima situazione di salute in cui si trova è messa seriamente a repentaglio dalle inaccettabili condizioni della detenzione, che non garantiscono la sua sopravvivenza”.
Una speranza di libertà
Ma davvero la diplomazia italiana non si sta muovendo o non fa abbastanza, come denuncia Cicchetti? “Sin dal principio, l'ambasciata d'Italia ad Abidjan, in stretto raccordo con la Farnesina, ha seguito la vicenda con la massima attenzione” è la risposta che viene dal ministero degli Esteri, “prestando ogni necessaria assistenza a Cocco e ai suoi familiari, effettuando visite consolari nel penitenziario di Abidjan, e sensibilizzando le autorità ivoriane sul caso, nei limiti dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura locale, non mancando di presenziare alle udienze in qualità di osservatore. L'ambasciata ha già richiesto formalmente l'autorizzazione ad effettuare quanto prima una nuova visita consolare e rimane in attesa di un riscontro da parte delle autorità ivoriane”. Non è possibile chiedere, come accaduto in altre situazioni, che Cocco sconti una eventuale pena in Italia perché sia il ricorso contro la sentenza di condanna di primo grado sia il procedimento per riciclaggio sono ancora pendenti.
Intanto, racconta ancora il legale, si è svolto una sorta di mercato delle vacche sulla possibilità di una cauzione che in un primo tempo era stata fissata a un milione e mezzo di euro e in tre mesi, a forza di contrattazioni, sembra essere scesa a 150 mila euro. Una luce, per quanto fioca, si è accesa in fondo al tunnel e Cocco potrebbe presto lasciare il carcere di Abidjan e attendere i tempi della giustizia ivoriana in casa, anche se ormai fiaccato nel fisico e nello spirito e in rovina. “Per questo bisogna riportarlo in Italia al più presto” conclude l'avvocato che ieri ha chiesto un incontro urgente alla premier Meloni e al ministro Tajani.
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