Matteo Legnani: il piano arabo per Gaza è "credibile" per l'Ue e piace anche ad Hamas
- Postato il 9 marzo 2025
- Di Libero Quotidiano
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Matteo Legnani: il piano arabo per Gaza è "credibile" per l'Ue e piace anche ad Hamas
Ci hanno messo quattro giorni per esprimersi ufficialmente, perché (e questo potrebbe essere il motto del Vecchio Continente) la prudenza non è mai troppa. Finché ieri, i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno definito «realistico» il piano architettato dai 22 Paesi appartenenti alla Lega Araba che era stato illustrato martedì al Cairo in un vertice convocato d'urgenza dal presidente egiziano Mohammed Fattah el-Sisi. I quattro più importanti Paesi europei si sono anche detti pronti a sostenere, diplomaticamente e con l'eventuale invio di forze di pace nella Striscia, il progetto illustrato al Cairo, che è il controcanto di quello della “Middle East Riviera” annunciato un paio di settimane fa dall'amministrazione americana guidata da Donald Trump e illustrato dallo stesso presidente Usa con tanto di rendering.
BASTA UN QUINQUENNIO
In una dichiarazione congiunta, gli europei hanno affermato che la proposta araba renderebbe possibile «un miglioramento rapido e sostenibile delle catastrofiche condizioni di vita dei palestinesi di Gaza nel giro di soli cinque anni» il cui costo, 53 miliardi di dollari, sarebbe interamente finanziato dagli stessi Paesi arabi. Sul tema si profila dunque l'ennesimo scontro tra Stati Uniti ed Europa, visto che mercoledì Washington (in accordo con Israele) aveva bocciato il piano arabo perla ricostruzione della Striscia, ritenendolo «non realistico» ossia esprimendo un giudizio opposto rispetto a quello formulato ieri da Italia, Francia, Germania e Regno Unito. La differenza sostanziale tra i due piani sta nel fatto che mentre quello soprannominato “Middle East Riviera” prevede la delocalizzazione presso i Paesi arabi vicini (Egitto e Giordania in primis) della maggior parte dei 2,1 milioni di palestinesi che vivono nella Striscia, quello arabo non prevede che la popolazione locale debba essere allontanata durante la fase di ricostruzione.
Ma le riserve americane, condivise appieno da Israele e, almeno in parte anche da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, erano e sono molteplici. Innanzitutto, aveva riferito il National Security Council, «i residenti non potrebbero continuare a vivere in un territorio che è un cumulo di macerie e che è disseminato di ordigni inesplosi». Poi c'era la questione di chi avrebbe in mano le chiavi della Striscia: il piano arabo prevede che in una prima fase sia un consiglio di tecnocrati di diversi Paesi a sovrintendere alla ricostruzione, con la collaborazione di una forza di pace internazionale posizionata sul territorio. E che successivamente a questo consiglio subentri progressivamente la guida dell'Autorità palestinese.
SOLDI AI TERRORISTI
Infine, gli Stati Uniti hanno sollevato la questione del ruolo di Hamas, alla quale il piano arabo non impone né la resa, né il disarmo. Al punto che il gruppo terroristico che da vent'anni spadroneggia su Gaza ha dato il suo immediato e ufficiale sostegno al progetto, ben sapendo tra l'altro che una parte di quei 53 miliardi di dollari finirebbe, in un modo o nell'altro, nelle sue casse. Le minacce di Trump, fra l'altro, stanno producendo risultati: nella serata di ieri il gruppo terrorista ha accettato di rilasciare altri ostaggi in cambio di una dilazione della tregua. Certo, la dichiarazione rilasciata ieri dagli europei pone esplicitamente agli arabi la condizione che «Hamas non deve più governare Gaza, né costituire una minaccia per Israele» e supporta «il ruolo centrale che l'Autorità palestinese dovrà avere e l'implementazione delle sue riforme». Tuttavia, è lecito pensare che il piano arabo possa non far altro che ricreare le condizioni per le quali Israele e Gaza sono in guerra da anni.