Mattarella: “Servono istituzioni Ue più forti. Interrogarsi sul perché l’Europa è considerata da alcuni un avversario se non un nemico”
- Postato il 6 settembre 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Come è possibile che l’Europa oggi venga considerata da alcuni un ostacolo, un avversario se non un nemico?”. La domanda arriva dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo videomessaggio al Forum The European House di Cernobbio, ed è il cuore del suo intervento. Bisogna interrogarsi, dice il capo dello Stato, sul perché un progetto nato per garantire pace, sviluppo e diritti sia percepito da una parte dell’opinione pubblica come un vincolo da abbattere.
Una contraddizione che va spiegata se il Vecchio continente non vuole rischiare quello che al momento sembra un destino segnato: ridursi a contare molto poco. “Quali sono gli interessi di fondo, i principi sui quali si basa la convivenza civile e i traguardi raggiunti dai popoli europei che qualcuno considera disvalori? È soltanto affrontando con lucidità interrogativi di questa natura che potremo trovare risposte esaurienti, utili a illuminare le scelte che siamo chiamati a compiere, pena la irrilevanza e la regressione rispetto ai risultati sin qui raggiunti”, dice Mattarella.
Da qui l’appello a rafforzare l’Unione e a respingere “la favola di una superiorità dei regimi autocratici“, l’idea “di un mondo lacerato, composto soltanto di avversari, nemici, vassalli o clientes”. “L’esperienza suggerisce che soltanto da uno stretto rapporto tra istituzioni e società civile, reciprocamente rispettoso, è possibile realizzare mete di progresso. Oggi più che mai le forze dell’economia e del lavoro sono consapevoli che la leva europea è decisiva. C’è bisogno di istituzioni europee più forti, di volontà di governi capaci di non arrendersi a pericoli e regressioni che non sono ineluttabili”.
E in un mondo dominato dalle grandi multinazionali e dalle spinte neo-imperialiste di alcuni Paesi, secondo il capo dello Stato l’Europa resta un presidio essenziale: il mondo “ha bisogno dell’Europa” perché fissi “regole che riconducano al bene comune lo straripante peso delle corporazioni globali – quasi nuove Compagnie delle Indie – che si arrogano l’assunzione di poteri che si pretende che Stati e Organizzazioni internazionali non abbiano a esercitare”. Mario Draghi dal Meeting di Rimini aveva ricordato che oltre alla regolazione servono però investimenti, perché “nessun Paese che voglia sovranità e prosperità può permettersi di essere escluso dalle tecnologie critiche. Gli Stati Uniti e la Cina usano apertamente il loro controllo sulle risorse strategiche per ottenere concessioni in molte altre aree”. Con la conseguenza che “ogni dipendenza eccessiva è così divenuta incompatibile con la sovranità sul nostro futuro”. La soluzione è l’Europa perché “nessun Paese europeo può avere le risorse necessarie per costruire la capacità industriale richiesta per sviluppare queste tecnologie e l’industria dei semiconduttori ben illustra questa sfida”.
Poi la rivendicazione dell’unicità del progetto europeo: “Una grande opportunità che il nostro Paese ha saputo intravedere e concorrere a costruire, con il decisivo contributo di uno statista come Alcide De Gasperi. È sorta sulla base di interrogativi elementari. È preferibile la pace o la guerra? È possibile costruire un mondo in cui gli Stati non vengano contrapposti in nome di artefatti, presunti, interessi nazionali e, al contrario, collaborino per il benessere congiunto dei loro popoli? A prevalere devono essere dignità, libertà, futuro delle persone, oppure, queste devono essere oggetto, strumento, delle ebbrezze di potere di classi dirigenti? Può apparire ovvio: un truismo. Eppure non è così”. Perché “è proprio avendo coscienza di queste alternative – che sembrano oggi ripresentarsi – che l’Unione ha saputo scegliere una strada completamente nuova, impensabile appena qualche anno prima, realizzando un percorso straordinario di pace e di affermazione dei diritti; mettendo in comune aspirazioni e risorse, a partire da quelle, fondamentali per la ricostruzione dopo il conflitto: il carbone e l’acciaio. In quel momento, la condizione di deserto morale e materiale, in cui il continente era stato ridotto dal nazifascismo, fu risolutiva nell’orientare scelte di alta levatura. Basterebbe l’animo di quei tempi difficili per affrontare i temi di fronte ai quali siamo oggi. Non sono accettabili esitazioni“.
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