Massimo Ghini: "Sono un bello che è anche bravo..."

  • Postato il 17 novembre 2025
  • Spettacoli
  • Di Libero Quotidiano
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Massimo Ghini: "Sono un bello che è anche bravo..."

 Uno e centomila, ma mai poi mai nessuno. Massimo Ghini ha un dono, la versatilità, che in altri Paesi sarebbe motivo di blasonatura mentre in Italia, curiosamente, provoca cipiglio tra i più schifiltosi. Questa miopia, frammista a malafede, degli intellò gli ha procurato bruciori di stomaco cui pone rimedio, da sempre, col “bicarbonato” del vasto pubblico convintamente dalla sua parte. L’ultimo impegno, da attore e regista, è la rivisitazione teatrale di Il vedovo, il classico con Sordi protagonista (lo affianca, nel ruolo della Valeri, la signora del palcoscenico Galatea Ranzi, e tra gli interpreti c’è il suo terzogenito Leonardo): al Manzoni di Milano sino al 23 novembre, ogni applauso che gli stanno tributando è un gesto dell’ombrello (come quello di un altro Sordi, quello de I vitelloni...) agli intellò succitati. Ghini viene da lontano. Lo voleva Strehler in un’epoca in cui Mi voleva Strehler era un desiderio così diffuso da intitolarne una pièce.

Poi giunsero Gassman, Zeffirelli, Patroni Griffi, Rosi, fino alla recente chiamata di Pupi Avati il quale, cosciente della maturità da lui conseguita, non nelle danze sfrenate ha voluto coinvolgerlo, bensì Nel tepore del ballo. La lista dei “venerati maestri” a lui interfacciatisi è lunga, come è lunga quella dei meno venerati, ma inconfutabilmente maestri, che gli hanno permesso di esprimersi nel registro popolare (i film di Natale con Neri Parenti, le “sophisticated comedies” dei Vanzina, le fiction campioni d’ascolto di Giorgio Capitani). Una professionalità, la sua, esercitata con la medesima caratura quando veste i panni di Giovanni XXIII e del viscoso politicante in Compagni di scuola, di Roberto Rossellini in Celluloide e dell’evanescente presentatore di La bella vita, alternando l’onerosità dell’incarnazione di Meucci, Mattei, Ennio Doris, e la buffonaggine del capofamiglia draculesco di Una famiglia mostruosa. Viene da lontano Ghini, da un padre partigiano che finì a Mauthausen e che gli ha trasmesso la passione per gli ideali.
Alla politica ci ha creduto davvero, declinando la passione civile in battaglie finalizzate a rendere il più efficiente possibile la macchina del cinema. Le delusioni, in questo ambito, non sono mancate, ma da combattente inveterato sa che una battaglia persa non implica la sconfitta in guerra. E lui, finché avrà energia nelle ossa, continuerà a “rompere i coglioni”.

Ghini, lei è a teatro con una bella commedia. «C’è sempre bisogno di una commedia», diceva Nanni Moretti...
«Moretti lo diceva con sarcasmo, io invece lo penso davvero che c’è sempre bisogno di commedie. La mia duttilità mi spinge, contemporaneamente, a fare con Avati un film che non è una commedia, e con Enrico Vanzina un giallo, tratto da un suo romanzo. Ho combattuto come un leone nella mia vita per scrostare il preconcetto, duro a morire, che se uno è bello non può essere pure bravo. In più, mi ha penalizzato questo “difetto” di essere uno che ragiona autonomamente, scansando le parrocchiette ideologiche. Da uomo di sinistra, ho apprezzato che la famiglia Mussolini si fosse complimentata per la mia interpretazione di Ciano. Con Romano Mussolini, grande musicista, ci dicemmo: “Siamo due artisti, la passione per l’arte è ci accomuna”».

Il vedovo racconta, in toni grotteschi, un tentato femminicidio. Magari qualcuno si adombrerà perché lo spettacolo va in scena in prossimità della Giornata contro la violenza sulle donne...
«Tutto può essere, ma la nostra risposta sarà: “Avete visto il finale?”. Diciamo che ci vorrebbe una mente particolarmente contorta per tacciare Il vedovo di incitamento alla violenza femminile...».

Ebbe modo di incontrare Sordi quando per uno spot pubblicitario, diretto da Coppola, rifece il Sordi de Lo sceicco bianco.
«Eravamo a Ostia, Alberto si avvicinò col suo cappottone. Quando gli dissi che il mio era un omaggio, giammai un’imitazione, lui rispose: “Tu lo puoi fa’»».
 

Lei sarebbe perfetto per un altro classico di Sordi: Una vita difficile.
«Una vita difficile l’ho inseguito per anni, e sembrava quasi fatta per il remake cinematografico. Laddove l’originale raccontava di un partigiano idealista che poi si scontra con la realtà, io volevo far partire il film nel ’68, farne la storia di un sessantottino che poi piglia bastonate. Al cinema non ce l’ho fatta ma chissà, magari un giorno lo porterò a teatro».

Uno dei suoi crucci è non aver mai vinto un David di Donatello. E sì che lei è sempre stato un David, in lotta coi Golia del cinema...
«Ho il merito di essermi sempre esposto nella vita, sono stato anche presidente del Sindacato Attori per molti anni, e consigliere comunale nella giunta di Rutelli. La politica, da sempre, asserisce di voler aiutare il mondo dell’arte, ma poi non mette il produttore privato nelle condizioni di fare progetti artistici ambiziosi. Le attenzioni dello Stato sono rivolte ai Teatri Stabili, che se la cantano e se la suonano da soli, incassando soldi statali anche se in sala ci stanno venti persone. Per quanto riguarda i David ho assistito, personalmente, a riunioni che si tenevano a casa di eminenti personalità del mondo dello spettacolo, nelle quali si decideva a tavolino chi far vincere».

Lei è stato il giovane Roncalli in una fortunata fiction. Lo sa che si presterebbe a interpretare pure Leone XIV?
«Sono dispiaciuto da morire perché Leone XIV incontra il mondo del cinema in Vaticano, e non potevo perché impegnato con le repliche milanesi. A suo tempo, il regista Giorgio Capitani dovette combattere la diffidenza dei produttori sul mio conto: volevano uno con un fisico e un temperamento da prete, ma Giovanni XXIII era speciale proprio perché non aveva né un fisico né un temperamento da prete. Ci son voluti i 14 milioni di ascolto che fece la fiction per farli ricredere».

Poi questa storia che un bello non possa far ridere. E allora Walter Chiari?
«Con Fabrizio Bentivoglio, col quale da ragazzi condividevamo la vita da bohémien squattrinati, citavamo sempre una sua frase: “il nostro mestiere è darsi darsi darsi, fermarsi per ricaricare, per poi continuare a darsi”».

Gassman le diceva: «Devi sempre giocare coi più forti, altrimenti non c’è gusto». Christian De Sica è più forte di lei?
«Christian è l’Imperatore. Ci provino altri a rimanere, come lui, per trent’anni di fila primo al box office. Mi appunto la medaglia di Liliana Cavani che disse: “Ho visto i film di Natale perché c’eri tu: ma lo sai che fanno ridere?”».

Se Verdone coinvolgesse voi attori di Compagni di scuola in versione teatrale?
«Sarebbe un errore, perché la gente è affezionatissima al film. Ci hanno già provato, ma la cosa non ha avuto alcun clamore».

La storia di suo padre potrà diventare un film?
«Ho avuto sempre qualche titubanza, perché mio padre non ha mai voluto raccontarmi l’esperienza nel lager, sono ricordi che lo facevano soffrire troppo. Vorrei fare un’altra cosa, un piccolo documentario che racconta un viaggio da Milano a Mauthausen, con Francesco Baccini e Fabio Capello: tutti e tre i nostri genitori sono stati là, hanno vissuto nello stesso recinto».

Ghini, è necessario che lei scriva un’autobiografia.
«Me la proposero, ma l’editore non era d’accordo col titolo dame proposto Potevo mancare?, a rimarcare il fatto che dove ti giri, trovi qualcuno che scrive libri. Ne avrei da raccontare. Penso all’amicizia con Gassman, a Tognazzi. Andavamo a fare la spesa insieme, sembravamo la coppia del Vizietto. Mise in chiaro che non voleva cucinare, nonostante la sua fama. Controvoglia mi misi io, ma alla fine metteva il becco di continuo. Era più forte di lui».

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Libero Quotidiano

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