Massimo Bossetti, tutto quello che non torna nella sua intervista con Francesca Fagnani

  • Postato il 11 giugno 2025
  • Di Panorama
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La domanda arriva netta, senza fronzoli. Francesca Fagnani, durante l’intervista andata in onda a Belve Crime, chiede a Massimo Bossetti: «Ma il suo Dna come c’è finito sugli slip di Yara?».

La risposta è un refrain che chi ha seguito il processo conosce bene: «È quello che vorrei capire anche io».

Bossetti, oggi 54 anni, appare in video con la stessa immagine che lo rese noto durante il processo: jeans, camicia a righe, capelli a spazzola e pizzetto, solo più grigi. Ribadisce ciò che ha sempre sostenuto: la propria innocenza.

«Sopravvivo all’ingiustizia che sono costretto a vivere», afferma. Alla domanda se i genitori di Yara abbiano ottenuto giustizia, risponde: «Non è fatta la giustizia che si dovrebbero meritare».

Mostra una calma apparente, dicendo di non avere «un inferno dentro», ma riconosce il peso dello stigma pubblico: «Sono tranquillo. […] È come un tatuaggio che ti trascini», dice riferendosi all’accusa di omicidio, che definisce «infamante».

In carcere, racconta, resiste grazie alla forza che gli dà la sua famiglia: «La rabbia si è tramutata in forza. E la forza è alimentata dall’amore dei miei familiari, dei figli, così riesco a resistere a un’ingiustizia quotidiana».

E sul nome di Yara aggiunge: «Né io né Yara abbiamo avuto la meritata giustizia».

Quando Fagnani gli chiede se è possibile che, a causa di un forte trauma, possa aver rimosso il ricordo del delitto, Bossetti è categorico: «No, nel mio caso no. Non esiste proprio. Perché andare contro una povera bambina?».

Il Dna, la prova regina

È proprio il Dna il punto centrale dell’intervista, come del processo. Fagnani sottolinea che dalle analisi «più volte è sempre emerso il suo Dna sugli slip e sui leggings di Yara». Per Bossetti «È tutto assurdo». E la giornalista incalza: «Non per la scienza né per la legge».

Bossetti ribadisce un nodo della sua difesa processuale: «Il Dna nucleare, che si dovrebbe disperdere a poche settimane, era presente», mentre «il mitocondriale, che è risaputo da tutti che non si può disperdere, non c’è».

Questa presunta anomalia è stata discussa in udienza, ma per i giudici non inficia la prova genetica: il Dna nucleare – paragonabile a un’impronta digitale – identifica in modo univoco una persona. Il Dna mitocondriale, invece, ha valore indicativo solo per la linea materna, e normalmente non viene neppure usato nelle indagini.

Eppure, proprio partendo dal Dna mitocondriale gli investigatori sono riusciti a identificare “Ignoto 1”. L’analisi comparativa dei profili genetici prelevati a tappeto sugli uomini della zona ha condotto alla famiglia Guerinoni. Un parziale match con Damiano Guerinoni ha permesso di risalire al padre, Giuseppe Benedetto Guerinoni, deceduto, la cui riesumazione ha confermato: “Ignoto 1” era suo figlio illegittimo.

La ricerca si è così concentrata sulle donne che l’uomo avrebbe potuto frequentare: tra loro, Ester Arzuffi, madre di Massimo Bossetti. Il test è inequivocabile: Bossetti è “Ignoto 1”.

Il padre ignoto di Bossetti e la verità mai raccontata

L’intervista si sposta poi su aspetti più intimi. Bossetti parla della sua infanzia come «un po’ tormentata», segnata dai litigi tra i genitori e dalla severità del padre: «Capitava che restassi chiuso in camera senza mangiare per due giorni», racconta. Con la madre, invece, il rapporto era molto diverso: «Morboso», lo definisce lui stesso.

E quando scopre di non essere figlio dell’uomo che ha sempre chiamato “papà”, si sente tradito: «In 44 anni mi ha nascosto una cosa tremenda. Le ho detto di guardarmi negli occhi, le ho spiegato che avevo il diritto di sapere la verità, così come i miei fratelli».

I vuoti di memoria sul giorno del delitto

Sui momenti della scomparsa di Yara, Bossetti offre risposte vaghe. «Per me era stata una giornata normalissima», afferma. Ma non entra nel dettaglio. Dice di essere stato dal commercialista, dal fratello e dal parrucchiere. A supporto, cita un modello F24. Eppure non spiega perché il suo cellulare risulti spento proprio in quelle ore, fino alla mattina seguente.

E le intercettazioni in carcere con la moglie, Marita Comi, non aiutano: lei gli chiede dove fosse quando Yara sparì, ma lui non risponde.

Le bugie de “Il favola”

Alla giornalista che lo incalza sul suo rapporto con la verità, Bossetti risponde: «Normale, mi sono sempre difeso energicamente. Ma non c’è verità per chi non vuole ascoltare».

Fagnani ricorda il soprannome datogli dai colleghi: «Il Favola», per le bugie che raccontava. E lui risponde: «Chi non le racconta?». Si riferisce a una bugia raccontata al lavoro: «Mi pareva l’unica scusa plausibile», dice, spiegando di aver finto di avere un tumore al cervello per giustificare alcune assenze dopo mesi senza stipendio.

E non sono solo bugie a pesargli. In carcere scopre l’infedeltà della moglie: «Mi sono congelato. Non potevo credere a una storia simile». Quella scoperta diventa uno spartiacque emotivo: «È la cicatrice più grande», ammette. Al punto da spingerlo a un gesto estremo: «Mi sono ritrovato con la testa nel lavandino e con una cintura attorno al collo. Non so come ci sono finito».

A quel punto, Francesca Fagnani – riallacciandosi ai vuoti di memoria legati al giorno della scomparsa di Yara – gli chiede se, dopo un trauma così profondo come la scoperta del tradimento della moglie, non sia possibile che abbia rimosso qualcosa anche rispetto a quel giorno cruciale. Bossetti risponde, senza esitazioni: «Assolutamente no».

Autore
Panorama

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