Maserati sull’orlo del fallimento, ecco perché

  • Postato il 2 agosto 2025
  • Di Panorama
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Tema: come distruggere un’icona del lusso e dell’ingegneria italiana. Svolgimento: descrivere il declino della Maserati. Un caso perfetto, perché la casa del Tridente sta navigando nella crisi più profonda della sua storia ultracentenaria, una tempesta scatenata da una concatenazione di errori strategici che ha portato questo glorioso brand sull’orlo del baratro. E oggi Maserati rappresenta un complicato rebus per i vertici di Stellantis, guidata dal nuovo ceo Antonio Filosa e dal presidente John Elkann, già alle prese con la crisi del gruppo, in rosso per 2,3 miliardi nel primo semestre.

Il sintomo più evidente delle difficoltà del Tridente è rivelato in tutta la sua crudezza dai risultati economici. La perdita di 701 milioni di euro nel 2024, in drammatica escalation rispetto ai già preoccupanti 96 milioni persi nel 2023, è la diretta conseguenza di un tracollo delle vendite globali, scese del 58 per cento a sole 11.300 unità. Di riflesso, il fatturato è precipitato del 60,6 per cento e il margine operativo è sprofondato da un +6 per cento a un disastroso -25 per cento. Questa emorragia ha costretto Stellantis a un intervento d’urgenza con un’iniezione di capitale da 350 milioni di euro, un’operazione che appare più come un tampone per evitare il fallimento che come un investimento strategico per il futuro.

Il riflesso più tangibile di questa crisi è la sofferenza delle fabbriche. Nello storico stabilimento di Modena, nel primo semestre del 2025, sono state prodotte appena 45 vetture. A Mirafiori, solo 70. Mentre nel sito di Cassino la produzione complessiva del primo semestre si è fermata a 10.500 unità (-35 per cento), di cui solo un quarto relative al Suv Grecale. Questo ha portato a un massiccio ricorso alla cassa integrazione e a una fuga di personale specializzato, un danno incalcolabile al prezioso capitale umano e artigianale del marchio.

Ma quali sono le cause del disastro? Il fallimento risiede in una serie di scelte strategiche errate. Il cuore del problema è stata la pretesa di imporre prezzi da puro lusso per una gamma percepita come obsoleta. Modelli chiave come Ghibli e Quattroporte, lanciati nel 2013, sono stati lasciati invecchiare senza eredi, mentre Stellantis imponeva una politica di aumenti aggressivi. Questa strategia ha creato la «trappola del falso lusso»: ha alienato i clienti storici, non disposti a pagare un sovrapprezzo ingiustificato, e non ha conquistato i veri clienti del lusso, che a parità di spesa hanno continuato a preferire Porsche o Ferrari.

L’ambizione di posizionare Maserati come «primo marchio di lusso elettrico» si è inoltre trasformata in un costoso fallimento. Con appena 150 veicoli elettrici venduti in mercati chiave europei nel 2024, il progetto Folgore non ha mai fatto breccia. Funestato da ritardi (la nuova Quattroporte Folgore è slittata dal 2025 al 2028), ripensamenti e cancellazioni (la MC20 Folgore), ha dimostrato una grave debolezza di pianificazione. Maserati ha inseguito ciecamente una direttiva calata dall’alto senza una tecnologia matura e senza comprendere il proprio cliente, finendo per scontentare sia gli amanti dei motori termici sia i nuovi adepti dell’elettrico.

In ultima analisi, la responsabilità ricade sulla gestione di Stellantis da parte dell’ex ceo Carlos Tavares, che ha applicato al Tridente una logica da costruttore generalista, ossessionata dall’efficienza e dalla condivisione di piattaforme, senza cogliere le dinamiche uniche del lusso. Le strategie vincenti per Peugeot o Jeep si sono rivelate catastrofiche per un brand che vive di unicità, desiderabilità e storia. «L’azienda, dopo la cura Tavares, fatta di tagli alle opzioni di personalizzazione, pricing di prodotto fuori target (una Maserati GT costava quasi quanto una Ferrari entry level), assenza di investimenti per il rinnovo della gamma su modelli chiave come Levante e Quattroporte, ha perso il sostegno della forza vendita e la continuità produttiva» sottolinea Francesco Zirpoli, docente di economia all’università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del Center for automotive and mobility innovation e dell’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive. «Il marchio Maserati è ancora forte e può posizionarsi tra Ferrari e Alfa Romeo, in competizione con marchi come Porsche. Per riuscirci sarà indispensabile ripristinare gli investimenti nei modelli chiave Quattroporte e Levante e rivitalizzare la Grecale. Ciò però richiederà investimenti imponenti, sia di natura tecnologica sia produttivi e un nuovo patto con la forza vendita».

La roadmap di prodotto annunciata invece appare debole. Con i modelli di volume (Ghibli, Levante) fuori produzione, Maserati affronterà il mercato con una gamma ridotta essenzialmente a Grecale e GranTurismo. È una scommessa azzardata che rischia di far collassare la rete di vendita prima che i nuovi modelli, previsti tra il 2027 e il 2028, vedano la luce. A complicare il tutto, incombe la minaccia dei dazi statunitensi, che potrebbero dare il colpo di grazia a un marchio per cui gli Usa rappresentano un mercato cruciale.

Di fronte a questo quadro, il futuro è avvolto dall’incertezza. Ufficialmente, Stellantis nega qualsiasi ipotesi di vendita e promette un nuovo piano industriale. Tuttavia, il gruppo ha affidato a McKinsey il compito di valutare «tutte le possibilità» per il futuro di Maserati e Alfa Romeo, una mossa che alimenta i dubbi.

Nel frattempo, indiscrezioni confermano l’interesse di potenziali acquirenti, come la casa cinese Chery. Secondo un top manager che per anni ha lavorato ad altissimo livello in Fca (la ex Fiat confluita in Stellantis) «ormai Maserati è in una crisi strutturale che coinvolge prodotti, tecnologia, rete distribuzione, valori residui usato. Servono tantissimi soldi per risollevarla. Non credo che nessun produttore occidentale possa permettersi questo lusso». I sindacati invece ci sperano ancora. «Chiediamo che Maserati resti all’interno del gruppo e che ci sia un vero e proprio piano di rilancio perché non dobbiamo dimenticare che originariamente il polo del lusso doveva essere un fiore all’occhiello di Stellantis» commenta Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil. «Il problema è che manca la volontà di investire e il nostro timore è che alla fine si arrivi a un momento nel quale decideranno di metterla in vendita, come nel caso di Iveco».

Le opzioni sul tavolo sono tre: un rilancio serio all’interno di Stellantis, che richiede un impegno finanziario e manageriale finora assente; la cessione a un altro gruppo con una vera cultura del lusso; o una sinergia profonda con Ferrari, che risolverebbe i problemi di credibilità tecnica ma forse poco attraente per il Cavallino rampante. In assenza di una di queste soluzioni drastiche, il rischio che il Tridente scivoli verso l’irrilevanza o la scomparsa è tragicamente concreto. Il tempo, per Maserati, sta per scadere.

Autore
Panorama

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