Mark Rutte, da ‘avaro’ contro i fondi Ue post Covid a segretario Nato che invoca la spesa in armi a tutti i costi
- Postato il 26 giugno 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Dalle “condizioni molto rigide” e i “conti in ordine” ai soldi da spendere “anche se si è in difficoltà”. Sembrano le due versioni di un dibattito su degli investimenti, sulle politiche economiche, o addirittura due diversi approcci filosofici alla vita. Invece, a pronunciare queste parole è la stessa persona. Dalle discussioni sul Recovery Fund a quelle sul riarmo, in appena cinque anni si è assistito alla trasformazione dell’ex premier olandese e oggi segretario generale della Nato, Mark Rutte, da dottor Jekyll a mr. Hyde. Da falco della sostenibilità economica, leader indiscusso dei Paesi frugali in Unione europea, a martello pneumatico che abbatte qualsiasi resistenza alle pretese di Donald Trump sull’aumento della spesa per le armi all’interno dell’alleanza, nel corso dell’ultimo vertice Nato che ha approvato la soglia del 5% del Pil in spese per la Difesa entro il 2035 è stato lui a esprimere un concetto chiaro quanto difficile da digerire per gli Stati con maggior debito: se non ce la fate a spendere, dovete farcela lo stesso.
Il leader Nato che non bada a spese
Mentre gli esponenti degli Stati membri discutevano sulla possibilità di rispondere alle richieste degli Stati Uniti, che assomigliano più a imposizioni, su un maggior contributo dei Paesi Ue al Patto Atlantico, tra chi come gli spagnoli si è sempre dichiarato molto scettico e altri, come i Paesi baltici, più vicini alla linea Trump, Rutte si è presto ritagliato il ruolo di sostenitore del riarmo della causa statunitense. Esemplificativo, quanto politicamente imbarazzante, è ad esempio il messaggio privato inviato a Donald Trump alla vigilia dell’ultimo vertice Nato, poi diffuso dallo stesso tycoon: dopo essersi congratulato per i bombardamenti in Iran ha assicurato che “stai (Trump, ndr) volando verso un altro grande successo all’Aia questa sera. Non è stato facile, ma li abbiamo convinti tutti a firmare per il 5%”.
Non sorprende quindi che a margine della seconda giornata di discussioni l’ex premier olandese abbia esordito con una dichiarazione con la quale ha sostenuto che “i politici devono prendere delle scelte (con bilanci in sofferenza), devono trovare i soldi e questo non è facile. Ma sono certo che ci arriveremo. Non c’è alternativa”. Parole sorprendenti? Non proprio se si tiene conto dell’evoluzione del Rutte pensiero da quando l’olandese è entrato nel suo ufficio a Bruxelles. Appena un mese dopo l’inizio del mandato ha fatto capire che la nuova linea, in continuità e con più spinta di quella di Jens Stoltenberg, sarebbe stata quella del riarmo dell’Alleanza: è “assolutamente chiaro” che i Paesi membri dovranno spendere “molto più del 2% del Pil” nella difesa, disse a Budapest a margine del summit della Comunità Politica Europea. Per poi lanciare lo slogan che lo ha accompagnato per i mesi successivi quando si è parlato di guerra in Ucraina: “Promuoviamo la pace con la forza”. Passa un altro mese e l’ex primo ministro ribadisce il concetto con ancora più forza, d’accordo con la posizione assunta anche dal duo von der Leyen-Kallas in Ue: “L’Ucraina ha bisogno di meno idee su come organizzare il processo di pace e di più aiuti militari per far sì che quando decida di aprire i negoziati sia in una posizione di forza”. Nuovo anno stessa linea, ma questa volta Rutte arriva a tradire quello che durante la pandemia di coronavirus sembrava fosse un mantra da non tradire per qualsiasi ragione al mondo: no alle spese senza i conti in ordine. “So che spendere di più per la Difesa significa spendere meno per altre priorità se non vuoi aumentare le tasse. Sono un politico centrista, quindi non mi piace aumentare le tasse. Ma ovviamente si può fare se si ottengono risultati. Ma in generale, spendere di più per la Difesa significa spendere meno per altre priorità, ma può fare una grande differenza per la nostra sicurezza futura”, sono state le sue parole che hanno aperto, per la prima volta, a tagli al welfare per l’acquisto di armamenti.
Il premier capo dei frugali
Che ne è stato, quindi, del primo ministro dalla schiena dritta, colui che con l’Europa in piena tempesta Covid, con migliaia di morti al giorno e un’economia globale sfasciata si è messo di traverso dando filo da torcere a governi come quello italiano e spagnolo che chiedevano l’istituzione di uno strumento europeo di prestiti e stanziamenti a fondo perduto che permettesse agli Stati più colpiti dalla pandemia di rialzarsi? “Vogliamo aiutare, ma gli altri devono aiutare loro stessi” mettendo la loro casa “in ordine”, diceva con freddezza sostenuto dal suo ministro delle Finanze, il super falco Wopke Hoekstra, oggi commissario europeo per il Clima.
“Sostenibilità” era la sua stella polare, il suo faro guida. “Incoraggiamo la Commissione a presentare proposte forti sul futuro del patto di stabilità e crescita – dichiarava in quei giorni – Il Patto è importante anche per creare ulteriore crescita, ma è lì soprattutto per garantire che l’euro sia sostenuto da politiche fiscali forti e da una disciplina fiscale forte. La stabilità delle finanze pubbliche sarà molto importante perché in questo momento abbiamo un debito elevato rispetto ai livelli del Pil”. Parole che rilette oggi, alla luce della nuova impostazione di Rutte sulla Difesa, quella della spesa a tutti i costi, sembra impossibile poter associare alla stessa persona. È l’altra faccia del Rutte politico. E assomiglia molto a quella di Donald Trump.
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