Mario Pirovano porta in Calabria i capolavori di Dario Fo
- Postato il 28 maggio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Mario Pirovano porta in Calabria i capolavori di Dario Fo
Il 28 maggio, doppio debutto per il Celico International Art Festival: Mario Pirovano porterà in scena in Calabria “Lu Santo Jullàre Francesco”. Ma non solo: per la prima volta in assoluto, il celebre erede artistico del teatro popolare di Dario Fo e Franca Rame interpreterà l’episodio “Francesco va da lo sultano Zime Al Beny”, mai rappresentato prima d’ora. Il 31 maggio chiuderà il Festival Internazionale delle Arti di Celico con “Mistero Buffo”. Tutti i dettagli e le curiosità nell’intervista a Mario Pirovano.
RENDE (COSENZA) – Un doppio debutto per il Celico International Art Festival. Per la prima volta in Calabria, questa sera (28 maggio) Mario Pirovano — attore, narratore e storico interprete della Compagnia Fo-Rame — porterà in scena al Teatro Auditorium Unical (TAU) “Lu Santo Jullàre Francesco”, il potente monologo di Dario Fo dedicato alla figura rivoluzionaria di San Francesco. Ma non solo: per la prima volta in assoluto, Pirovano interpreterà l’episodio “Francesco va da lo sultano Zime Al Beny”, mai rappresentato prima d’ora, che racconta il celebre incontro tra il santo di Assisi e il sultano d’Egitto durante le Crociate.
Ma prima dello spettacolo, questa mattina alle ore 10, il Teatro delle Arti di Celico ospiterà la “Retrospettiva su Dario Fo e Franca Rame” per un incontro con gli studenti. Un evento nell’evento che si inserisce nella suggestiva cornice di Celico, terra natale di Gioacchino da Fiore, il mistico calabrese che ispirò proprio San Francesco.
La giornata di giovedì 30 maggio sarà interamente dedicata all’incontro tra teatro, spiritualità e formazione: la mattina, alle ore 10, il Teatro delle Arti di Celico ospiterà un dialogo con gli studenti insieme a Pirovano, al docente Unical Carlo Fanelli e al co-direttore artistico Donato Santeramo. A chiudere il Festival, sabato 31 maggio, il celebre “Mistero Buffo”, nella stessa cornice. Ne abbiamo parlato con Mario Pirovano, erede artistico del teatro popolare di Dario Fo e Franca Rame.
Mario Pirovano, com’è nato il suo incontro con Dario Fo e Franca Rame? Cosa ricorda di quel primo impatto?
«Ho conosciuto Dario e Franca a Londra nel 1983. Vivevo lì da dieci anni, non avevo mai avuto interesse per il teatro, ma conoscevo i loro nomi. Quando seppi della loro tournée, dissi a un amico: “Andiamo almeno a salutarli. Sono due giganti della cultura italiana, e sono qui tra noi emigrati”. In realtà non avevamo alcuna intenzione di assistere allo spettacolo. Ma Dario ci accolse con una gentilezza disarmante e ci regalò due biglietti. Quella sera assistemmo a “Mistero Buffo”. Quel teatro, così fisico, potente, fatto di parole, corpo, anima… mi travolse. Fu un vero colpo di fulmine. Risi per due ore e mezzo, mi si spalancò un mondo. Quella sera ha cambiato il corso della mia vita».

Quando ha capito che avrebbe dedicato la vita a questo teatro?
«Non l’ho capito. È successo. Dopo quella sera, mi invitarono a tornare a teatro: sarebbero rimasti a Londra per un mese di tournée. Presi qualche giorno di ferie dal mio lavoro in agenzia viaggi. Dopo quello spettacolo, tornai a teatro ogni sera. Franca mi propose di collaborare. Da lì, sono rimasto con loro per una vita intera. Iniziai a seguirli ovunque, ad aiutarli in tutto ciò che potevo. Ma c’è un episodio chiave».
Di che si tratta?
«Dieci anni dopo, successe una cosa incredibile. Ero a Gubbio, nella Libera Università di Alcatraz, la scuola fondata da Dario Fo, Franca Rame e Jacopo Fo. Lavoravo lì d’estate, quando la compagnia andava in vacanza. Un giorno vidi un gruppo di ragazzini che si stavano insultando pesantemente, e mi indignai. Mi avvicinai a loro, un po’ come un fratello maggiore, per calmarli. Così, tra il serio e il faceto, iniziai a raccontare una storia che avevo sentito decine di volte da Dario: “Il primo miracolo di Gesù Bambino”, tratto dai Vangeli apocrifi del terzo secolo».
Mario Pirovano, cosa ha significato per lei scoprire, attraverso quella storia, la forza del teatro come strumento di relazione e trasformazione?
«La storia è potente: Gesù, da bambino, fugge con i genitori e arriva in un paese dove cerca di giocare con gli altri bambini. Ma non viene accettato: è straniero, ha un accento diverso, viene da un’altra zona della Palestina. E così lo escludono. Uno di loro gli urla perfino: “Vai via, Palestina, terun!”. Dario — essendo lombardo — usava proprio quella parola per rendere chiaro il razzismo implicito nella scena. Quella battuta, che oggi definiremmo “politicamente scorretta”, era una denuncia lucidissima dell’intolleranza.
Quando raccontai quella storia, quei ragazzini scoppiarono a ridere. Non me ne resi conto subito, ma stavano ascoltando con il cuore. La storia dura 45 minuti, e loro risero dall’inizio alla fine. Ne parlarono con i genitori, con gli insegnanti. E mi chiesero di raccontarla di nuovo, davanti a tutta la scuola. E lì ho capito che non era più solo un gioco. Era teatro. Fare quel racconto come risposta a una provocazione era una cosa… ma salire su un palco, davanti al pubblico, e portarlo a termine: quello è stato il mio battesimo».
Una storia quasi di bullismo e resilienza…
«Assolutamente! La provocazione di quei ragazzi mi aveva spinto verso di loro e portato a interagire con loro. Quella sera, mi hanno trasformato in un attore! Dopo lo spettacolo, non ho dormito. Continuavo a raccontare quell’episodio a mia moglie. Da quel giorno, era il 1991, non mi sono più fermato e ho lavorato con Dario e Franca fino al loro ultimo respiro. Una storia così incredibile la conoscono davvero in pochi, perfino nel mondo del teatro!».
Quindi, dopo tanti anni, torna in scena proprio con “Mistero Buffo” e, per la prima volta in Calabria, con “Lu Santo Jullàre Francesco”…
«Esatto. Dopo oltre trent’anni di carriera e decine di Paesi in cui ho portato questo spettacolo, finalmente arriva in Calabria, terra ricca di spiritualità e cultura popolare. È per me un grande onore. Portare qui Francesco — una figura ancora oggi rivoluzionaria — è come completare un cerchio. Gioacchino da Fiore fu un ispiratore per lui. In un certo senso, lo spettacolo torna a casa. In più, per la prima volta in assoluto, porterò sul palco l’episodio “Francesco va da lo sultano Zime Al Beny”. È un testo che Dario scrisse con grande passione e che oggi più che mai risuona attuale, in un’epoca segnata da guerre e incomunicabilità. Francesco sceglie il dialogo, non la spada».
“Lu Santo Jullàre Francesco” è un testo scritto da un laico, eppure capace di restituire la forza spirituale di Francesco d’Assisi…
«Proprio così, Dario Fo non era credente, ma aveva una sensibilità rara. È riuscito a restituire Francesco in tutta la sua umanità, spiritualità e forza poetica. L’ho portato in tutto il mondo: Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Africa. Francesco è universale. Il suo messaggio – la povertà, il rispetto per la natura, il dialogo – attraversa culture e secoli. Persino nei luoghi più remoti, la sua figura parla ancora con voce potente».
In tempi di guerre e conflitti, quanto risuona importante la scelta di Francesco di andare a parlare col Sultano, invece che combattere? È una lezione che il teatro può contribuire a trasmettere?
«È un messaggio enorme. La guerra non porta da nessuna parte! Francesco si chiede: com’è possibile che due popoli che pregano lo stesso Dio si massacrino? Lui attraversa il mare per parlare, non per combattere. È una lezione eterna: il dialogo costa fatica, ma è l’unica via. E vale anche per noi nelle nostre vite quotidiane. Dobbiamo sempre trovare una ragione superiore che ci aiuti a rivedere le nostre posizioni e a superare le nostre difficoltà come esseri umani. Altrimenti tutto si riduce a una spirale di violenza: se ciascuno vuole avere ragione ad ogni costo e prevaricare sull’altro, saremmo catapultati in una guerra senza fine, tutti contro tutti».
La predica agli uccelli è forse il momento più poetico…
«È una metafora struggente. Francesco parla agli uccelli perché gli uomini non ascoltano. Dice: voi siete leggeri, liberi, non avete proprietà, non vi fate la guerra. Invidia la loro leggerezza. È un invito a liberarci dall’avidità e dalle paure che ci intrappolano».
Francesco si definiva “giullare di Dio”. In che modo questo spirito giullaresco rivive nel suo modo di recitare?
«Nel raccontare con ironia cose serie. Nel far ridere e riflettere insieme. Dario Fo ha avuto il genio di riscoprire la tradizione orale, i giullari, la comicità medievale che parlava al popolo. Io ho avuto il privilegio di imparare da lui. E oggi continuo a portare quel testimone, da solo, in scena, con tutto l’amore possibile».
Mario Pirovano, pensa che i giovani possano entrare in sintonia con Francesco?
«Certo. Basti pensare al discorso sull’ecologia, al “Cantico di Frate Sole”. Francesco parlava dell’acqua “umile et pretiosa” che dà sostentamento. Il suo era un discorso rivoluzionario sull’interpretazione del Vangelo. È un messaggio radicale e profondo. Un’idea di mondo fondata sul rispetto e sull’essenziale».
Spesso si sottovaluta quanto i giovani siano in grado di emozionarsi e di entrare in relazione autentica con gli altri. Lei ritiene che il teatro dovrebbe diventare parte integrante dell’educazione scolastica? In che modo il teatro può aiutare i ragazzi a riscoprire l’empatia, l’ironia e la leggerezza, qualità che sembrano oggi sempre più rare?
«Assolutamente sì, il teatro dovrebbe essere insegnato nelle scuole. Spesso si pensa che i ragazzi abbiano perso la capacità di giocare, ridere e scherzare tra loro in modo sano. Non conoscono più davvero l’ironia, non sanno usare la metafora per prendersi in giro con bonarietà. Tutto viene preso in maniera troppo seria, e questo spesso sfocia in conflitti, a volte anche violenti. Manca quella leggerezza fondamentale che ci permette di vivere con meno tensione.
Il teatro, invece, ti mette in gioco completamente. Come dicevano i Greci, il teatro è provocazione. Per far ridere davvero, bisogna toccare il cuore della tragedia: se non si arriva a quel punto profondo, la risata non scatta. Questo è un grande rischio, una vera sfida—o come dicono gli inglesi, una “challenge”—perché devi sfidare il pubblico a guardare dentro sé stesso. Spesso si dice che il teatro sia divisivo, ma quale forma d’arte o quale messaggio non lo è? Il teatro ha il compito di mettere in discussione i luoghi comuni e le ipocrisie della società. Oggi però, con il “politically correct”, molti evitano di affrontare temi davvero importanti. Se il teatro si limitasse a questo, diventerebbe solo puro intrattenimento, senza quella tensione rivelatrice che lo rende davvero potente».
Mario Pirovano, cosa direbbe oggi a Francesco, se potesse parlargli?
«Gli direi: “Ritorna!”».
“Mistero Buffo” chiuderà la prima edizione del Festival Internazionale delle Arti di Celico. In che modo questo spettacolo, con i suoi racconti ispirati ai vangeli apocrifi e alla tradizione orale, può parlare al pubblico di oggi, in un’epoca iperconnessa ma spesso disattenta alla memoria?
«Attraverso la sua forza comica, simbolica, popolare. I racconti ispirati ai Vangeli Apocrifi sono attuali, perché parlano di ingiustizia, povertà, esclusione. E lo fanno con ironia. È un teatro che ti scuote e ti fa ridere insieme. E il pubblico, anche giovane, risponde con entusiasmo».
Come ha lavorato sull’adattamento del testo?
«Non ho cambiato una virgola. Ho preso il testo di Dario com’era. Ma ci ho messo il mio corpo, la mia voce, la mia energia. La mia capacità di interagire con il pubblico. Ho imparato da due maestri straordinari».

Mario Pirovano, cosa è cambiato in lei dopo tutti questi anni di palcoscenico?
«La sicurezza! Ho potuto toccare con mano un continuo miglioramento della mia capacità di affrontare il palcoscenico. Il fatto di interpretare questi testi di Dario, tradotti da me in lingua inglese, in tutto il mondo mi ha dato una sicurezza enorme. Quando ho iniziato a portare in scena a Edimburgo “Lu Santo Jullàre Francesco”, tutti mi davano del pazzo ma ha avuto un successo strepitoso e bellissime recensioni».
Cosa rende “Mistero Buffo” ancora così potente, a più di cinquant’anni dalla sua prima?
«I suoi temi: la guerra, l’avidità, il razzismo, la stupidità del potere. Sono ancora lì. Il teatro di Dario non è mai invecchiato. È ancora un atto di resistenza civile».
Oltre ai due spettacoli, terrà anche un workshop all’Unical…
«Sì. Lavoreremo su voce, corpo, presenza scenica. Sul potere della parola e della comicità. Voglio trasmettere ai ragazzi l’importanza della libertà interiore per stare su un palco».
Mario Pirovano, cosa consiglia agli aspiranti attori?
«Non avere preconcetti e soprattutto non avere pregiudizi. Per fare teatro bisogna essere veramente liberi!».
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Mario Pirovano porta in Calabria i capolavori di Dario Fo