Mario Draghi: “Il 2025 è l’anno in cui l’Europa ha perso la voce”

  • Postato il 22 agosto 2025
  • Di Panorama
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Un continente che per decenni si è specchiato nella forza del proprio mercato si ritrova, nel 2025, a scoprire che il peso di 450 milioni di consumatori non basta più. “Questo – ha detto Mario Draghi al Meeting di Rimini – sarà ricordato come l’anno in cui l’illusione è evaporata”.

È la constatazione di chi ha visto dall’interno i meccanismi della finanza globale, delle istituzioni europee e della diplomazia internazionale. Draghi non parla per sentito dire: la sua carriera, dalla Banca d’Italia alla Bce fino a Palazzo Chigi, lo ha messo di fronte a ogni crisi degli ultimi vent’anni. Ed è proprio in questa prospettiva che definisce “amaro” il bilancio del 2025.

L’ex premier mette in fila i fatti: rassegnarsi ai dazi imposti dagli Stati Uniti, storico alleato e primo partner commerciale, e aumentare la spesa militare secondo logiche dettate dall’esterno. “Decisioni – sottolinea – che forse avremmo comunque dovuto prendere, ma non così e non ora”. Il risultato è un’Europa attraversata da un’ondata di scetticismo, che tocca “picchi” mai registrati negli ultimi decenni.

La sveglia brutale di Trump

C’è un nome dietro la “sveglia brutale” citata da Draghi: Donald Trump. La sua rielezione alla Casa Bianca ha chiuso bruscamente il tempo delle rassicurazioni. “Le elezioni americane hanno cambiato tutto. A settembre 2023 – ricorda Draghi – nessuno percepiva che le cose stessero andando male. Industria, politica e burocrazia di Bruxelles vivevano in tranquillità. Poi è arrivato lo shock”.

Quel colpo di realtà ha messo a nudo le fragilità europee. Per Draghi, la prima risposta dev’essere la più semplice e la più difficile allo stesso tempo: “Stringiamoci insieme. Gli Stati europei devono imparare ad andare d’accordo”. L’alternativa, spiega, è restare irrilevanti in un mondo dove le potenze giocano partite sempre più dure.

Debito comune per progetti strategici

Draghi non si limita a lanciare l’allarme, ma indica una strada. E la parola chiave è “debito comune”. Per lui è l’unico strumento in grado di sostenere progetti di scala davvero europea, troppo grandi per essere finanziati da bilanci nazionali già gravati da vincoli e debiti.

Difesa – soprattutto nella ricerca e nello sviluppo –, energia con investimenti nelle reti e nelle infrastrutture, e tecnologie dirompenti: sono le priorità che l’ex premier mette sul tavolo. “In alcuni settori – osserva – il debito buono non è più possibile a livello nazionale: investimenti isolati non raggiungono la dimensione necessaria per aumentare la produttività e giustificare il debito. L’inazione è il peggior nemico dell’Europa”.

Il ragionamento va oltre l’economia: Draghi lega strettamente la capacità finanziaria dell’Unione alla sua sopravvivenza politica. Senza strumenti comuni, i singoli Stati rischiano di restare schiacciati tra colossi geopolitici.

Sovranismi? Un regalo alle grandi potenze

Il monito contro il ritorno alle sovranità nazionali è uno dei passaggi più duri. “Distruggere l’integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale – avverte – significherebbe esporci ancora di più al volere delle grandi potenze”.

Nel mondo post-pandemico e post-invasione russa dell’Ucraina, le regole del commercio internazionale non si fondano più solo sull’efficienza, ma su fattori strategici come la sicurezza delle forniture e il controllo delle risorse critiche. In questo contesto, spiega Draghi, l’Europa deve adattare la propria organizzazione politica alle sfide esistenziali che la circondano. “Dobbiamo arrivare a un consenso su cosa comporta essere europei oggi”.

Marginale nei teatri di crisi

Draghi non risparmia critiche al ruolo dell’Ue nei grandi scenari di crisi. “Nonostante il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina e il maggiore interesse a una pace giusta, il nostro ruolo nei negoziati è stato marginale”.

Nel frattempo, la Cina ha sostenuto apertamente lo sforzo bellico della Russia, ignorando le proteste europee e usando il controllo delle terre rare per rendere la dipendenza dall’Asia ancora più stringente.

Il giudizio non cambia nemmeno guardando al Medio Oriente. “Siamo stati spettatori – dice – mentre i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava”. È qui che Draghi pronuncia la frase che sintetizza l’intero discorso: “Questi eventi hanno fatto giustizia di qualunque illusione che la sola dimensione economica basti per avere potere geopolitico”.

Da spettatore a protagonista

La chiusura è un appello che suona anche come ultimatum. “Per affrontare le sfide di oggi, l’Ue deve passare da spettatore o comprimario ad attore protagonista. Deve mutare la sua organizzazione politica, inseparabile dalla capacità di raggiungere obiettivi economici e strategici”.

Per Draghi, la forza economica resta una condizione necessaria, ma non sufficiente, per avere peso geopolitico. Il 2025 diventa così un anno spartiacque: o l’Europa decide di cambiare rotta e assumere il ruolo di protagonista, o sarà destinata a restare ai margini, condannata a commentare le mosse degli altri.

Autore
Panorama

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